CARLO ALBERTO DI SAVOIA RE DI SARDEGNA
Arc. 378: S.M. Carlo Alberto di Savoia Carignano Re di Sardegna (Torino 02/10/1798 – Oporto 28/07/1849) in gran montura da generale piemontese. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
Arc. 571: S.M. Carlo Alberto di Savoia Carignano Re di Sardegna in gran montura da generale piemontese. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
FAMIGLIA SAVOIA
Arc. 388: Fotomontaggio della famiglia reale. Al centro il Re Vittorio Emanuele II. Dall’alto verso destra: Principessa Maria Pia, Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova, Amedeo Duca d’Aosta, Principe Eugenio di Savoia – Carignano, Oddone Duca di Monferrato, Umberto Principe di Piemonte e Principessa Maria Clotilde. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1860 ca.
Arc. 389: Fotomontaggio dei sovrani d’Europa. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1860 ca.
Arc. 1216: Fotomontaggio della famiglia reale. Al centro il Re Vittorio Emanuele II, in piedi: Vittoria Duchessa d’Aosta, Tommaso Duca d’Aosta, Principe Eugenio di Savoia – Carignano, Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Seduti da sinistra a destra: Principessa Maria Clotilde, Umberto Principe di Piemonte, Amedeo Duca d’Aosta, Elisabetta Duchessa di Genova, Principessa Maria Pia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1868 ca.
Arc. 1504: Fotomontaggio della famiglia reale. Alla foto precedente sono stati aggiunti: in alto a sinistra il Principe Napoleone Giuseppe Gerolamo Bonaparte marito della Principessa Maria Clotilde e in alto a destra Luigi I Re del Portogallo marito della Principessa Maria Pia. Fotografia 13 x 17,2. Fotografo: Montabone – Torino. 1868 ca.
VITTORIO EMANUELE II DI SAVOIA RE D’ ITALIA
Arc. 1033: S.M. Vittorio Emanuele II Re di Sardegna ( Torino 14 Marzo 1820 – Roma 9 Gennaio 1878 ) in gran montura da generale piemontese. Fotografia CDV. Fotografo Sconosciuto. 1859.
Arc. 1202: S.M. Vittorio Emanuele II Re di Sardegna in gran montura da generale piemontese con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: Disderi & C.ie – Paris 1859.
Arc. 1202: S.M. Vittorio Emanuele II Re di Sardegna in gran montura da generale piemontese. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Furne Fils & H. Tournier – Paris.
Arc. 1037: S.M. Vittorio Emanuele II Re di Sardegna in gran montura da generale piemontese con spencer. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: John Clarck 1860 ca.
Arc. 1203: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’Italia in gran montaura da generale. Fotografia CDV. Fotografo sconosciuto. 1860 ca.
Arc. 1213: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1868 ca.
Arc. 1214: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo F.lli Alinari – Firenze 1868 ca.
Arc. 1214: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: Del Sempre – Torino 1868 ca.
Arc. 2299: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Bernieri – Torino. 1868 ca.
Arc. 378: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 991: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 2041: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Bernieri – Torino. 1865 ca.
Arc. 616: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 379: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale e SS Papa Pio IX. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 1035: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Bernieri – Torino. 1865 ca.
Arc. 380: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1865 ca.
Arc. 1731: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1865 ca.
Arc. 3024: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti da caccia. Fotografia Formato gabinetto. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1875 ca.
Arc. 990: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti da caccia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 858: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti da caccia. Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino. 1865 ca.
Arc. 1036: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1869.
Arc. 571: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 1081: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 1671: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia e Rosa Vercellana Contessa di Mirafiori e Fontanafredda ( moglie morganatica del Re ). Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1869.
Arc. 1036: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino. 1869.
Arc. 2301: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1869.
Arc. 871: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1869.
Arc. 870: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in abiti civili. Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: Sconosciuto. 1869.
Arc. 615: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: E. Verzaschi – Roma. 1876 ca.
Arc. 1614: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia formato gabinetto acquerellata a mano 11 x 16,5. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1876 ca.
Arc. 2613: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1876 ca.
Arc. 379: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1876 ca.
Arc. 2425: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia 10,3 x 14,2. Fotografo: Sconosciuto. 1876 ca.
Arc. C: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia 31,3 x 41,7. Fotografo: Lovazzano – Torino. 1876 ca.
Arc. 1035: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia CDV. Fotografo: Boggiani & Bacmeister – Stresa. 1876 ca.
Arc. 872: S.M. Vittorio Emanuele II Re d’ Italia in gran montura da generale. Fotografia formato gabinetto 10,5 x 16,5. Fotografo: P. Fellini – Firenze. 1876 ca.
MARIA ADELAIDE D’ ASBURGO – LORENA REGINA DI SARDEGNA
Arc. 380: S.M. Maria Adelaide Asburgo – Lorena Regina di Sardegna moglie di Vittorio Emanuele II ( Milano 1822 – Torino 1855 ). Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino.
FERDINANDO DI SAVOIA DUCA DI GENOVA
Arc. 1037: S.A.R. Ferdinando di Savoia – Genova Duca di Genova in gran montura da generale piemontese. ( Firenze 15 Novembre 1822 – 10 Febbraio 1855 ) Figlio di Re Carlo Alberto e fratello minore di Re Vittorio Emanuele II. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
ELISABETTA DI SASSONIA DUCHESSA DI GENOVA
Arc. 1038: S.A.R. Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova moglie di Ferdinando di Savoia. ( 4 Febbraio 1830 – Stresa 14 Agosto 1912 ). Elisabetta di Sassonia nacque il 4 febbraio 1830, figlia dell’allora principe ereditario Giovanni di Sassonia e di sua moglie, Amalia Augusta di Baviera, nonché zia materna dell’imperatrice Elisabetta di Baviera. Elisabetta di Sassonia infatti era imparentata con numerose teste coronate europee: fra i cugini vi erano l’imperatore Franz Josef e la moglie Sissi, il re Massimiliano di Baviera, l’imperatrice del Brasile Amelia di Leuchtenberg e la regina di Svezia e Norvegia Giuseppina di Leuchtenberg. Il 22 aprile 1850 Elisabetta sposò il Duca di Genova, Ferdinando di Savoia, secondogenito di Carlo Alberto di Sardegna e di Maria Teresa d’Asburgo-Lorena. Il loro matrimonio non viene ricordato come un legame d’amore infatti, come spesso accadeva all’epoca, l’unione fu frutto di un accordo dinastico. Dal matrimonio nacquero due figli, Margherita, futura Regina d’Italia e Tommaso, secondo Duca di Genova. Ferdinando morì dopo neanche cinque anni di matrimonio il 10 febbraio 1855. L’anno successivo alla morte di Ferdinando, Elisabetta, il 4 ottobre 1856, si risposò con Nicolò Giuseppe Efisio Rapallo, già ufficiale d’ordinanza del Duca e non nobile. Da questo matrimonio non nacquero figli. I due amanti si erano sposati in segreto, prima che il periodo di lutto fosse ufficialmente finito. Questo fatto fu disapprovato dal cognato di Elisabetta, il re Vittorio Emanuele II, che la allontanò dalla corte con il marito. I due presero residenza a Stresa, sul lago Maggiore, dove si stabilirono nel palazzo Bolongaro, poi noto come Villa Ducale. Successivamente, anche grazie all’intervento personale del re di Sassonia nella faccenda e per evitare una crisi diplomatica, Vittorio Emanuele II perdonò la cognata; il Rapallo fu creato marchese e gran maestro della Casa della Duchessa e successivamente fu eletto deputato al Parlamento nel collegio di Stresa. Morì il 27 novembre 1882.Nel 1910 Elisabetta subì un attacco di apoplessia, che causò un rapido peggioramento della sua salute. Morì il 14 agosto 1912 a Stresa. Fotografia CDV. Fotografo: C. Bernieri – Torino. 1860 ca.
Onorificenze
Dama dell’Ordine della regina Maria Luisa
Dama dell’Ordine della Croce Stellata
Arc. 1530: S.A.R. Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova moglie di Ferdinando di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Duroni & Murer – Milano. 1860 ca.
Arc. 383: S.A.R. Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova moglie di Ferdinando di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1860 ca.
Arc. 1531: S.A.R. Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova moglie di Ferdinando di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1865 ca.
Arc. G2: S.A.R. Elisabetta di Sassonia Duchessa di Genova moglie di Ferdinando di Savoia. Fotografia formato 15 x 11,5 con cornice in cartine decorato. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2063: Umberto Principe di Piemonte, Principessa Maria Pia e Amedeo Duca d’Aosta. Fotografia 7,8 x 11,8. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1860 ca.
Arc. 2418: Amedeo Duca d’Aosta, Umberto Principe di Piemonte e la Principessa Maria Pia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
UMBERTO I DI SAVOIA RE D’ ITALIA
Arc. 718: Foto celebrativa del matrimonio fra il Principe Umberto di Savoia e la Principessa Margherita di Savoia – Genova avvenuto nel 1868. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Torino.
Arc. 1444: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Capitano del 3° Reggimento Fanteria “Brigata Piemonte” in gran montura. ( Torino 14 Marzo 1844 – Monza 29 Luglio 1900 ). Umberto nacque il 14 marzo 1844 a Torino, da Vittorio Emanuele II, allora duca di Savoia ed erede al trono sardo (il quale, quello stesso giorno, compiva 24 anni), e da Maria Adelaide d’Austria. Fu battezzato con i nomi di Umberto Rainerio Carlo Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio: il primo in onore del fondatore della dinastia sabauda, Umberto I Biancamano, l’ultimo a ricordo del più illustre esponente del ramo cadetto dei Savoia-Carignano, cui anch’egli apparteneva. Suoi padrini di battesimo furono i nonni paterni, il re di Sardegna Carlo Alberto e sua moglie Maria Teresa d’Asburgo-Lorena, facendo le veci dei loro consuoceri, ovvero Ranieri d’Asburgo, viceré del Lombardo-Veneto e Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella di Carlo Alberto. Umberto ricevette subito il titolo di principe di Piemonte, da sempre attribuito ai primogeniti della casa regnante. Egli trascorse tutta la sua infanzia, insieme con il fratello minore Amedeo, nel castello di Moncalieri, dove ricevette una formazione essenzialmente militare, avendo come istitutore il generale Giuseppe Rossi e fra gli insegnanti alcuni altri militari; fu questa dura disciplina che ne formò il carattere, trasformandolo tuttavia in età adulta in una persona arida e dalle idee limitate, anche se altri lo ritennero “leale, aperto, gentile” e cordiale. Molto legato alla madre, Umberto subì un profondo trauma quando questa morì prematuramente, il 20 gennaio 1855. Intrapresa la carriera militare nel marzo del 1858, cominciò col rango di Capitano. Successivamente prese parte alla Seconda guerra d’indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino e San Martino del 1859. Divenuto erede al trono italiano dopo la nascita del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, Umberto divenne Maggior Generale nel 1863 e Tenente Generale nel 1864; non mancò di completare la sua formazione con numerosi viaggi all’estero, come quando nel 1863 accompagnò a Lisbona la sorella Maria Pia di Savoia che andava in sposa al re del Portogallo Luigi I, mentre l’anno successivo visitò alcune corti europee amiche dell’Italia; nel 1865 era in visita a Londra mentre a Torino scoppiavano i tumulti per protestare contro il trasferimento della capitale a Firenze. Nel 1866 fu inoltre a Parigi, mandato da suo padre per un colloquio privato con l’imperatore Napoleone III circa l’imminente conflitto che stava per scoppiare con l’Austria. Appunto nel 1866, prese parte con il fratello Amedeo alla Terza guerra d’indipendenza; si racconta che, mentre aspettava a Napoli di partire per il fronte, a una vecchina che piangeva per i due figli in guerra, abbia detto: Anche noi siamo due e non abbiamo più la mamma. Raggiunto il fronte delle operazioni in Veneto, Umberto assunse il comando della XVI divisione di fanteria e partecipò con valore allo scontro di Villafranca del 24 giugno 1866, che seguì la disfatta di Custoza. Fu uno dei comandanti militari italiani, tra quelli entrati in azione, il cui reparto non fu costretto a ripiegare dagli austriaci, riuscendo piuttosto a respingere numerosi e violenti attacchi degli ulani austriaci e guadagnandosi, per questo, la medaglia d’oro al valor militare. In quegli anni Umberto intrattenne una relazione sentimentale con la duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta, il cui legame fu rafforzato poi dalla nascita del figlio Alfonso (morto in tenera età) e che durerà per tutta la vita. Umberto sapeva però che si sarebbe dovuto piegare a un matrimonio di convenienza, voluto dal padre per ragion di Stato. Infatti, subito dopo la fine della terza guerra d’indipendenza, che aveva portato all’unificazione del Veneto al Regno d’Italia, Vittorio Emanuele II pensò di riappacificarsi con la casata asburgica con un matrimonio politico, dopo la temporanea alleanza con la Prussia di Bismarck. La candidata fu l’arciduchessa Matilde d’Asburgo-Teschen, che però morì tragicamente, ustionata dall’incendio del suo abito (ella stessa stava cercando di nascondere una sigaretta alla governante). Quindi, svanita questa possibilità, il Presidente del Consiglio di allora, Luigi Federico Menabrea, propose come sposa la cugina di Umberto, la principessa Margherita di Savoia, figlia di Ferdinando di Savoia-Genova, fratello del re, e di Elisabetta di Sassonia, di 17 anni. Dapprima riluttante, il re d’Italia alla fine acconsentì. Quando il principe ereditario fece la sua proposta a Margherita, questa rispose: Sai quanto sono orgogliosa di appartenere a Casa Savoia, e lo sarei doppiamente come tua moglie!. Umberto e Margherita si sposarono a Torino il 22 aprile 1868; furono le “nozze del secolo” di allora, e per quell’occasione re Vittorio Emanuele II creò il corpo dei corazzieri reali, che dovevano fungere da scorta al corteo regale, e l’Ordine della Corona d’Italia, con cui venivano premiati tutti coloro che si erano distinti al servizio della Nazione. Meta del viaggio di nozze furono alcune città italiane, per meglio far conoscere i futuri monarchi italiani alla popolazione; quindi, dopo un soggiorno nella Villa reale di Monza, i neosposi partirono per un viaggio ufficiale a Monaco di Baviera e a Bruxelles, dove vennero accolti calorosamente. Rientrata in Italia, la coppia reale si stabilì a Napoli, poiché la principessa era incinta e si era deciso di farvi nascere l’erede al trono. La scelta della città partenopea non era casuale, ma ben progettata a fini propagandistici, per far meglio notare i Savoia alle popolazioni meridionali, ancora in parte nostalgiche dei Borbone. Il lieto evento avvenne l’11 novembre 1869: il neonato, chiamato Vittorio Emanuele, come il nonno, fu nominato principe di Napoli. Tuttavia il matrimonio tra Umberto e Margherita, pur con l’arrivo del figlio, non si rafforzò, poiché la principessa avrebbe trovato il marito nel suo appartamento a conversare con la sua amante, la duchessa Litta. Pare che Margherita avesse minacciato di tornare da sua madre, ma poi, convinta dal suocero (che avrebbe detto: “Solo per questo vuoi andartene?”) e facendo appello alla sua forza di volontà, decise di rimanere accanto a Umberto, sebbene avesse dichiarato di non considerarlo più suo marito, per ritenerlo soltanto il suo sovrano. Del resto Margherita doveva sapere da tempo della relazione che risaliva a prima del matrimonio. Quando i due si incontrarono la prima volta la duchessa aveva 25 anni e Umberto 18.. Il fallimento del matrimonio, noto solo in ristretti circoli di corte, fu mascherato con una parvenza di felicità usata convenientemente anche a fini politici. Infatti, dopo la presa di Porta Pia il 20 settembre 1870, e la frettolosa visita di Vittorio Emanuele a Roma in dicembre dopo l’inondazione del Tevere, furono Umberto e Margherita a rappresentare la famiglia reale nella futura capitale d’Italia. Si deve soprattutto a Margherita il merito di aver posto le basi di una riconciliazione tra le due fazioni dell’aristocrazia romana: quella “nera” che, in fedele devozione al papa Pio IX, rifiutava di avere qualsiasi contatto con i sabaudi “usurpatori”, e quella “bianca”, di idee più liberali, che invece aveva caldeggiato l’unione della città con l’Italia. Alla morte del padre Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, Umberto gli succedette col nome di Umberto I sul trono italiano e di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo. Nello stesso giorno egli emanò un proclama alla Nazione in cui affermava: Il vostro primo re è morto; il successore vi proverà che le istituzioni non muoiono! Il 17 gennaio 1878, giorno dei funerali del padre, Umberto I, accogliendo la petizione del Municipio di Roma, predispose l’inumazione della salma nel Pantheon di Roma, che fece diventare simbolicamente il mausoleo della famiglia reale e che ancora oggi accoglie le spoglie dei primi due sovrani d’Italia. Roma era un luogo simbolico, dal momento che la sua presa aveva rappresentato il completamento dell’agognata unità nazionale. Infine, il 19 gennaio, avvenne il solenne giuramento sullo Statuto albertino, nell’aula di Montecitorio, alla presenza di senatori e deputati. Molti erano i problemi da affrontare per il secondo sovrano d’Italia: l’ostilità del Vaticano, che, dopo la morte di papa Pio IX il 7 febbraio dello stesso anno e l’elezione al soglio di Leone XIII, continuava a disconoscere il Regno d’Italia, il tentativo di bloccare sia i fermenti irredentistici e repubblicani che attraversavano il Paese sia i propositi anti-unitari di certi circoli politici occulti, nazionali ed esteri, l’assoluta necessità di creare un ampio fronte di riforme sociali di cui potessero godere le classi meno abbienti, il rilancio dell’economia nazionale, già da troppo tempo stagnante, e soprattutto l’urgentissimo problema di porre fine all’isolamento internazionale dell’Italia e di aumentare il suo prestigio in politica estera. Giurò di agire, già nel suo primo discorso della Corona, “nel rispetto delle leggi”. Uno dei primi provvedimenti che Umberto I dovette affrontare da re furono le dimissioni, il 9 marzo, del gabinetto di Agostino Depretis, leader della Sinistra storica; il re, non ritenendo conveniente riaffidargli l’incarico, scelse Benedetto Cairoli, capo della sinistra moderata e politico da lui molto stimato, come nuovo presidente del Consiglio. Il problema più spinoso che il suo governo dovette affrontare fu la crisi nei Balcani, nata dalla recente guerra tra Russia e Turchia, fatto per cui fu convocato dal cancelliere tedesco Bismarck il Congresso di Berlino. L’Italia, nel timore di prendere impegni troppo gravosi, non vi ottenne nulla. Appena salito al trono, Umberto I predispose subito un tour nelle maggiori città del Regno al fine di mostrarsi al popolo e guadagnare almeno una parte della notorietà di cui aveva goduto il padre durante il Risorgimento. Venne accompagnato dalla moglie Margherita, dal figlio Vittorio Emanuele e dal presidente del Consiglio Benedetto Cairoli. Partito da Roma il 6 luglio 1878, il 10 luglio fu a La Spezia, dall’11 al 30 luglio soggiornò a Torino, il 30 fu a Milano, poi a Brescia e il 16 settembre si recò a Monza, dove assistette all’inaugurazione del primo monumento dedicato al padre Vittorio Emanuele II. Il 4 novembre i reali arrivarono a Bologna. Tre giorni dopo Umberto e Margherita erano a Firenze, il 9 novembre a Pisa e a Livorno, il 12 novembre si recarono ad Ancona, l’indomani a Chieti e poi a Bari. Il 16 novembre, alla stazione di Foggia, un certo Alberigo Altieri tentò di lanciarsi verso il sovrano. Venne fermato in tempo, tanto che quasi nessuno si avvide del fatto e nemmeno la stampa ne fece parola. Tuttavia un’indagine della polizia portò a scoprire come il giovane non avesse agito da solo, ma nell’ambito di «un complotto per l’assassinio dell’Augusto sovrano» che aveva «il proposito di farne eseguire il tentativo nelle diverse città visitate». Era l’avvisaglia di quanto sarebbe accaduto il giorno dopo. Giunto a Napoli il 17 novembre 1878, Umberto subì un tentativo di assassinio che fece molto più scalpore: si trovava, insieme alla moglie, il figlio e Cairoli, su una carrozza scoperta che si stava facendo largo tra due ali di folla, quando improvvisamente venne attaccato, con un coltello, dall’anarchico lucano Giovanni Passannante, il quale non riuscì nel proprio intento. Nel tentativo di uccidere il monarca, Passannante urlò: «Viva Orsini, viva la repubblica universale». Il re riuscì a difendersi e un ufficiale dei Corazzieri del seguito si scagliò contro l’attentatore, ferendolo alla testa con la sciabola (il re subì un leggero taglio a un braccio), mentre Cairoli, nel tentativo di bloccare l’aggressore, veniva ferito a una coscia. Il tentato assassinio generò numerosi cortei di protesta, sia contro sia a favore dell’attentatore, e non mancarono scontri tra forze dell’ordine e anarchici. A seguito del tentato regicidio, l’allora Capo della Polizia Luigi Berti fu costretto a rassegnare le dimissioni un mese dopo. L’anarchico venne condannato a morte, ma Umberto I commutò la sentenza in carcere a vita. Le pessime condizioni di Passannante in carcere suscitarono, comunque, polemiche da parte di alcuni esponenti politici. Dopo l’attentato, il re, riconoscente, assegnò al Presidente del Consiglio la medaglia d’oro al valor militare, ma il Parlamento, pur ammirandone il coraggio e la devozione, rimproverò il governo circa la cattiva gestione della politica interna, in particolare riguardo alla sicurezza del re e dello Stato; fu quindi presentata un’interrogazione parlamentare che si concluse l’11 dicembre di quell’anno con le dimissioni del ministero, il quale fu nuovamente affidato a Depretis. Depretis, tuttavia, fu battuto alla Camera dei deputati il 3 luglio 1879 e dovette dare di nuovo le dimissioni: il governo passò nuovamente a Cairoli, il quale, però, non avendo la maggioranza parlamentare necessaria, dovette coinvolgere parte della Sinistra moderata guidata da Depretis, che fu nominato ministro dell’Interno. Uno dei problemi più urgenti che il governo dovette affrontare fu l’abolizione della tassa sul macinato, che aveva sì permesso il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 1876, ma aveva causato l’ostilità della popolazione per l’aggravio sui beni di prima necessità, ovvero i cereali. Lo stesso Umberto, il 26 maggio 1880, all’apertura della XIV legislatura parlamentare, pronunciò un discorso in cui si augurava che il Parlamento desse seguito all’abolizione della tassa sul macinato, del corso forzoso e alla riforma elettorale. Così, dopo una serrata discussione parlamentare, il 30 giugno 1880 la Camera votò la riduzione progressiva della tassa sul macinato (che sarebbe stata abolita definitivamente quattro anni dopo), mentre il 23 febbraio 1881 fu abolito il corso forzoso, in vigore dal 1866. Nell’ottica della visibilità e del peso internazionale, Umberto I fu un acceso sostenitore della Triplice alleanza, soprattutto dopo l’occupazione francese della Tunisia nel 1881 e la successiva Alleanza dei tre imperatori tra l’Austria, la Germania e la Russia. Proprio in questo periodo, inoltre, il governo di Agostino Depretis venne a conoscenza che papa Leone XIII stava interpellando i ministri degli esteri stranieri a proposito di un loro possibile intervento per ripristinare lo Stato Pontificio. L’appoggio dell’Austria, la nazione cattolica più prestigiosa, sarebbe stato di grande utilità per l’Italia al fine di stornare un’azione europea in aiuto del papato. Per l’Italia, la conclusione di un’alleanza con due potenze conservatrici sarebbe valsa sia ad assicurare la monarchia sabauda di fronte ai movimenti repubblicani di ispirazione francese, sia ad assicurarla dall’intervento di potenze straniere che avessero voluto ristabilire il potere temporale del papa. In appoggio alle iniziative diplomatiche, fra il 21 e il 31 ottobre 1881 Umberto I e la moglie Margherita fecero visita a Vienna all’imperatore Francesco Giuseppe ed all’imperatrice Elisabetta. I monarchi italiani fecero un’ottima impressione alla corte viennese, specie Margherita, che a buon diritto, per grazia ed eleganza, venne paragonata all’imperatrice Sissi. Lo stesso Umberto, rigido, severo e austero, fece una così buona impressione che il cugino e antico avversario, Francesco Giuseppe, gli concesse la nomina a colonnello onorario del 28º Reggimento fanteria. Il gesto non mancò di suscitare polemiche in Italia presso l’opinione pubblica, visto che il reggimento austriaco di cui il re era stato fatto colonnello era lo stesso che aveva partecipato alla battaglia di Novara del 1849 e all’occupazione di Brescia, partecipando attivamente alla spietata repressione che causò la morte di migliaia di uomini, donne e bambini bresciani. Di fronte alle insistenze della Germania, il ministro degli Esteri austriaco Gustav Kálnoky cedette all’idea di un’intesa con l’Italia e il 20 maggio 1882 fu firmato il primo trattato della Triplice alleanza. Umberto inoltre appoggiò lo slancio coloniale in Africa, con l’occupazione dell’Eritrea (1885-1896) e della Somalia (1889-1905). Il governo italiano aveva già acquistato, il 10 marzo 1882, la baia di Assab dall’armatore Rubattino, il quale, a sua volta, l’aveva comperata dal sultano locale come scalo per le proprie navi. Quindi si pattuì con il governo inglese la successiva occupazione della città portuale di Massaua, avvenuta il 5 febbraio 1885, nell’ottica di una profonda penetrazione in Sudan, da concordare con gli inglesi, impegnati nel sedare la rivolta mahdista. Ma Londra respinse l’offerta d’aiuto italiana, non più necessaria, e l’Italia si trovò così “incatenata ad una roccia del Mar Rosso”, senza concrete prospettive espansionistiche. Gli italiani cercarono allora di compensare il loro magro bottino coloniale occupando l’entroterra di Massaua, in direzione di Asmara, ma stavolta l’ostacolo fu rappresentato dai guerrieri etiopi del negus (imperatore) Giovanni IV, che il 27 gennaio 1887 tendevano un agguato ad una colonna italiana di 500 uomini comandata dal colonnello De Cristoforis presso Dogali, annientandola completamente. Solo pochi scamparono, e vennero ricevuti con tutti gli onori al Quirinale da Umberto e dalla moglie Margherita: un onore che non era toccato nemmeno ai reduci del Risorgimento. Malgrado ciò, la notizia dell’eccidio di Dogali ebbe l’effetto di una doccia gelata su Roma, dove spense gli ardori colonialisti e compattò l’opinione pubblica a chiedere la fine dell’avventura africana. Tutto infatti lo lasciava presagire: dimessosi il De Robilant, Depretis, che era stato messo in minoranza e che aveva malvisto l’impresa abissina, riottenne dal re l’incarico di formare il governo, grazie anche all’appoggio di Francesco Crispi e Giuseppe Zanardelli, a capo della cosiddetta Pentarchia, la più forte formazione politica di sinistra. Tuttavia, nell’agosto dello stesso anno, il presidente del Consiglio morì, e al suo posto andò proprio Crispi, il quale, al contrario del predecessore, era un convinto assertore della politica africana. Lo dimostrò inviando in Eritrea un contingente di 20.000 uomini al comando del generale Antonio Baldissera e chiedendo all’ambasciatore italiano ad Addis Abeba, conte Pietro Antonelli, di adoperarsi affinché l’Italia potesse trarre partito dalle lotte intestine che dilaniavano l’Etiopia. Le cose subirono una svolta quando, il 10 marzo 1889, Giovanni IV morì in battaglia contro i Dervisci del Sudan; subito Menelik ne prese il posto come imperatore, con il nome di Menelik II, ignorando i diritti di ras Mangascià, figlio naturale del defunto negus. Per meglio puntellare il suo potere, Menelik decise di patteggiare con l’Italia, accondiscendendo a firmare, il 2 maggio 1889, il trattato di Uccialli: in esso vennero infatti riconosciuti all’Italia i territori occupati in Eritrea e a causa di un malinteso sulla traduzione dell’articolo 17 dello stesso trattato (che prevedeva, nel testo italiano, per il negus l’obbligo di farsi rappresentare da Roma per trattare con le altre potenze europee, mentre in quello etiope ciò era solo facoltativo) anche il protettorato sull’Etiopia, in cambio di quattro milioni di lire. L’accordo fu poi siglato con l’invio nella capitale italiana di una delegazione etiope guidata da ras Makonnen, cugino dell’imperatore, che aveva il compito di portare il trattato e pattuire il prestito. I membri della delegazione furono prima ricevuti al Quirinale dai sovrani, poi vennero mandati in giro per le principali città italiane per visitare arsenali, caserme, industrie belliche, al fine di impressionarli e mostrare la potenza militare del Paese. La missione ripartì il 2 dicembre dello stesso anno, riportando in patria il prestito e svariati doni, tra cui un quadro che raffigurava l’Ascensione di Gesù al cielo con il re, la regina e Crispi in preghiera, mentre, da parte loro, gli etiopi avevano portato in dono un elefante. Inoltre, nel 1890 anche alcuni sultanati della Somalia accettarono il protettorato italiano, mentre quello stesso anno fu fondata ufficialmente la Colonia eritrea. Ma il malinteso diplomatico (noto come “beffa di Uccialli”), avrebbe non molto tempo dopo gettato le premesse della prima campagna d’Africa Orientale. Tutto ebbe inizio nel dicembre 1893, quando Menelik non si servì del governo di Roma per trattare alcune questioni commerciali con la Francia, denunciando il trattato firmato pochi anni prima, e terminò Il 1º marzo 1896 con la decisiva battaglia di Adua, catastrofica per le armi italiane. In Italia i contraccolpi furono gravissimi: Crispi fu costretto a dimettersi e scomparve dalla scena politica; al suo posto andò Antonio di Rudinì, che dovette firmare la successiva pace di Addis Abeba del 26 ottobre 1896, che prevedeva l’annullamento del trattato di Uccialli e la piena sovranità dell’Etiopia, mentre concedeva agli italiani di tenere tutti i territori precedentemente conquistati. Codesta disfatta provocò la fine temporanea dell’avventura coloniale italiana, che si arrestò fino al 1911, con la conquista della Libia. Per quanto riguarda la politica nazionale, Umberto I affiancò l’operato del governo di Francesco Crispi nel suo progetto di rafforzamento interno dello stato. È durante il suo regno che si definisce la figura del Presidente del Consiglio (1890): infatti Umberto non presiedeva il consiglio dei ministri, ma si limitava a ricevere il presidente dopo le riunioni di gabinetto e, sentita la sua relazione, a firmare i provvedimenti del ministero, assumendosi, con il tempo, anche responsabilità che, anche se condivise da lui personalmente, erano collettive e parlamentari. La sua attività politica fu anche contrassegnata da un atteggiamento autoritario, dovuto forse alla grave “crisi di fine secolo”, dove insurrezioni e moti, come quelli dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia e l’insurrezione della Lunigiana (1894) lo portarono a firmare provvedimenti come lo stato d’assedio. A seguito di questi e di altri gravi avvenimenti si procedette allo scioglimento, da parte del governo Crispi, del Partito Socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. Umberto appoggiò quindi i governi ultra conservatori di Antonio di Rudinì (1896-1898) e di Luigi Pelloux (1898-1900) che rafforzarono le tensioni sociali in tutta l’Italia. Sotto Umberto I avvenne l’introduzione del codice penale Zanardelli (1889), un corpo normativo liberale che portò alcune riforme, come l’abolizione della pena di morte e una certa libertà di sciopero. Il progetto venne approvato con il consenso pressoché unanime di ambedue le Camere. Durante il suo regno, il sovrano portò solidarietà alle popolazioni colpite da calamità naturali, intervenendo in prima persona con aiuti materiali e opere risanatrici. Già nel 1872, quando era ancora principe, si recò in Campania tra gli sciagurati dell’eruzione del Vesuvio. Appena salito al trono, nel 1879, assistette i siciliani colpiti dall’Etna e nel 1882 andò in Veneto, deturpato da piogge torrenziali. Nel 1884 giunse a Napoli, afflitta dal colera, e in quell’occasione pronunciò la famosa frase, incisa sulla stele a ricordo del triste evento: “A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore. Vado a Napoli”. Il 1888 vide un gesto politicamente importante e personalmente coraggioso: Umberto I visitò la Romagna, una terra considerata ostile alla monarchia e molto pericolosa, per la prevalenza di repubblicani, di socialisti e di anarchici. In preparazione, vennero svolte apposite manovre militari, a scopo dissuasivo. In realtà la visita si svolse senza incidenti perfino a Forlì, patria di Aurelio Saffi, uomo di riferimento dei repubblicani. Ad accogliere il re intervenne anche l’ex Presidente del Consiglio Alessandro Fortis. Nel 1893 Umberto I fu implicato nello scandalo della Banca Romana, ove il re fu accusato di aver contratto elevati debiti e l’allora presidente del consiglio Giovanni Giolitti gli avrebbe garantito la copertura, per la lealtà che giurò alla monarchia e per l’appoggio che egli aveva avuto da casa Savoia negli anni precedenti. Il 22 aprile 1897 il sovrano subì un secondo attentato da parte di Pietro Acciarito. L’anarchico si mescolò tra la folla che salutava l’arrivo di Umberto I presso l’ippodromo delle Capannelle a Roma e si buttò verso la sua carrozza armato di coltello. Il re notò tempestivamente l’attacco e riuscì a schivarlo, rimanendo illeso. Acciarito venne arrestato e condannato all’ergastolo. Analogamente a Passannante, la sua pena fu molto rigida ed ebbe gravi conseguenze sulla sua salute mentale. Il 29 luglio 1900 Umberto I fu invitato a Monza alla cerimonia di chiusura del concorso ginnico organizzato dalla società sportiva Forti e Liberi; egli non era tenuto a presenziare, ma fu convinto dalla circostanza che al saggio sarebbero state presenti le squadre di Trento e Trieste, ai cui atleti – infatti – stringendo le mani, disse: “Sono lieto di trovarmi tra italiani” (frase che non passò inosservata e che scatenò applausi scroscianti). Sebbene fosse solito indossare una cotta di maglia protettiva sotto la camicia, a causa del gran caldo e contrariamente ai consigli degli attendenti alla sicurezza, quel giorno fatidico Umberto non la indossò. Tra la folla si trovava anche l’attentatore, Gaetano Bresci, un anarchico pratese emigrato negli Stati Uniti, con in tasca una rivoltella a cinque colpi. Il sovrano s’intrattenne per circa un’ora ed era di ottimo umore: «Fra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire». Decise di andarsene verso le 22.30 e si recò verso la carrozza, mentre la folla applaudiva e la banda intonava la Marcia Reale. Approfittando della confusione, Bresci fece un balzo in avanti con la pistola in pugno e sparò alcuni colpi in rapida successione. Non si è mai appurato con precisione quanti, ma la maggior parte dei testimoni disse di aver sentito l’eco di almeno tre. Umberto difatti venne raggiunto a una spalla, al polmone e al cuore. Ebbe appena il tempo di mormorare: «Avanti, credo di essere ferito», prima di cadere riverso sulle ginocchia del generale Ponzio Vaglia, che gli sedeva di fronte in carrozza. Subito dopo i carabinieri, comandati dal maresciallo Locatelli, riuscirono a sottrarre il Bresci al linciaggio della folla, traendolo in arresto. Intanto la carrozza col sovrano ormai cadavere era giunta alla reggia di Monza; la regina, avvisata, si precipitò all’ingresso gridando: «Fate qualcosa, salvate il re!». Ma non c’era ormai più nulla da fare, Umberto era già spirato. Il regicidio suscitò in Italia un’ondata di deplorazione e di paura, tanto da indurre gli stessi ambienti anarchici e socialisti a prenderne le distanze; Filippo Turati, ad esempio, rifiutò di difendere il regicida in tribunale. Molti di coloro che l’avevano criticato in vita, tra cui il liberale Papafava, ebbero parole di cordoglio per il defunto («Gli volevamo più bene di quanto credessimo») e il repubblicano Bovio disse che l’indignazione suscitata dall’attentato aveva allungato la vita alla monarchia di parecchi decenni. Il poeta Giovanni Pascoli scrisse di getto l’inno al Re Umberto, dedicato al sovrano scomparso. Il 9 agosto venne celebrato il funerale religioso a Roma: nonostante fosse un giovedì torrido, due gremite ali di folla seguirono il feretro. Tuttavia si era instaurato un tale clima di psicosi, che bastò un mulo imbizzarrito di una rappresentanza del corpo degli Alpini per scatenare un fuggi-fuggi generale al grido “Gli anarchici!”. Tale fu il terrore che questo coinvolse anche il gruppo dei principi, tanto che Nicola I del Montenegro balzò davanti al genero Vittorio per fargli da scudo contro un eventuale attentato. Ristabilita la calma, la salma del defunto re venne tumulata nel Pantheon accanto a quella del padre; il 13 agosto diventò giorno di lutto nazionale. Bresci venne processato il 29 agosto e condannato il giorno stesso all’ergastolo, in quanto la pena di morte era in vigore solo per alcuni reati militari, puniti dal Codice penale militare di guerra. Bresci morì suicida il 22 maggio 1901 in circostanze molto dubbie (impiccato nella propria cella), sebbene si dicesse che fosse rimasto vittima di un pestaggio da parte delle guardie. Il luogo dell’attentato, a Monza, è segnato da una cappella in memoria del re ucciso, costruita nel 1910, su disegno dell’architetto Giuseppe Sacconi, per volontà del figlio del re, Vittorio Emanuele III. Fotografia CDV. Fotografo: Disderi & C.ie – Paris. 1858.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Gran maestro dell’Ordine supremo della Santissima Annunziata 9 gennaio 1878 (già Cavaliere, 30 gennaio 1859)
Gran maestro dell’Ordine militare di Savoia 9 gennaio 1878
Gran maestro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro 9 gennaio 1878 (già Cavaliere di gran croce decorato del gran cordone, 30 gennaio 1859)
Gran maestro dell’Ordine della Corona d’Italia 9 gennaio 1878
Gran maestro dell’Ordine al merito civile di Savoia 9 gennaio 1878
Medaglia commemorativa delle campagne delle guerre d’indipendenza «con barretta “1866”» 6 dicembre 1866
Medaglia commemorativa dell’Unità d’Italia 26 aprile 1883 Onorificenze straniere
Cavaliere dell’Ordine del Toson d’oro (Impero austro-ungarico)
Cavaliere dell’Ordine di Sant’Andrea (Impero russo)
Cavaliere dell’Ordine di Aleksandr Nevskij (Impero russo)
Gran cordone dell’Ordine della Legion d’Onore (Francia) gennaio 1859
Cavaliere dell’Ordine Reale dei Serafini (Svezia) 14 marzo 1862
Ordine di Medjidié [classe non nota](Impero ottomano) agosto 1862
Fascia dei Tre Ordini (Regno di Portogallo) settembre 1862
Gran cordone dell’Ordine militare della Torre e della Spada del valore, lealtà e merito (Regno di Portogallo) settembre 1862
Ordine Nichan Iftikar [classe non nota](Tunisia) novembre 1862
Cavaliere dell’Ordine dell’Elefante (Danimarca) 19 agosto 1865
Cavaliere di gran croce dell’Ordine del Leone di Zähringen (Granducato di Baden) novembre 1865
Gran cordone dell’Ordine imperiale dell’Aquila Messicana ottobre 1866
Cavaliere straniero del Nobilissimo Ordine della Giarrettiera (K.G., Regno Unito) 1878
Cavaliere di gran croce dell’Ordine reale di Kamehameha I (Regno delle Hawaii) 1878
Cavaliere dell’Ordine supremo dell’Aquila nera (Regno di Prussia) 29 marzo 1897
Cavaliere di I classe dell’Ordine dell’Aquila rossa (Regno di Prussia) 29 marzo 1897
Cavaliere dell’Ordine Pour le Mérite (Regno di Prussia)
Arc. 1038: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante della Guardia Nazionale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1858.
Arc. 2300: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante del 3° Reggimento “Brigata Piemonte” in gran montura. Fotografia: CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1859.
Arc. 3100: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante del 3° Reggimento “Brigata Piemonte” in gran montura. Fotografia: CDV. Fotografo: E. di Chanaz – Torino.
Arc. 537: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1859 ca.
Arc. 2204: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante di un Reggimento dei Lancieri in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: F.M. Chiappella – Torino. 1862.
Arc. 2205: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante di un Reggimento dei Lancieri in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1862.
Arc. 1307: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte probabilmente ritratto durante il viaggio a Istanbul. Fotografia CDV. Fotografo: Abdullah Fréres – Costantinople.
Arc. 1678: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante di un Reggimento dei Lancieri in gran montura con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1862.
Arc. 2606: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Colonnello Comandante di un Reggimento dei Lancieri in gran montura con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: John Clarck. 1862.
Arc. 736: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: P. Barelli – Milano. 1862 ca.
Arc. 1797: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1862 ca.
Arc. 3143: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte in gran montura da Maggior Generale con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano.
Arc. 1215: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1863.
Arc. 1555: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1863.
Arc. 2041: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1863.
Arc. 860: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1863.
Arc. 572: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1863.
Arc. 660: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1863.
Arc. 1204: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. 1863.
Arc. 1938: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale della Guardia Nazionale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Fabretti – Ancona. 1863 ca.
Arc. 737: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Fotografia Pompejana – Napoli. 1866 ca.
Arc. 2204: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1866 ca.
Arc. 381: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1866 ca.
Arc. 2300: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1866 ca.
Arc. 1432: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Torino.
Arc. 1216: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Roma. 1870 ca.
Arc. 2426: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Roma. 1870 ca.
Arc. 1857: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1870 ca.
Arc. 2017: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1870 ca.
Arc. 1204: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Maggior Generale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Tuminello – Roma. 1870 ca.
Arc. G2: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia formato 23 x 17,5. Fotografo: F.lli d’Alessandri – Roma. 1875 ca.
Arc. 1397: S.A.R Umberto di Savoia Principe di Piemonte Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Roma. 1875 ca.
Arc. G2: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia formato 29 x 21,3. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2960: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia formato gabinetto. Fotografo: Sconosciuto. 1878 ca.
Arc. 1039: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: V. Besso – Biella. 1878 ca.
Arc. 2610: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,3. Fotografo: Montabone – Firenze. 1880 ca.
Arc. 1892: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,2. Fotografo: Montabone – Firenze. 1878 ca.
Arc. 584: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia Generale d’ esercito in gran montura. Fotografia Cartolina. Fotografo: Brogi. 1900 ca.
Arc. 2421: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,5. Fotografia: Guigoni & Bossi – Milano. 1900 ca.
Arc. 683: S. M. Umberto I di Savoia Re d’ Italia. Cartolina necrologio stampata in occasione della morte del Sovrano in seguito all’attentato di Gaetano Bresci avvenuto a Monza il 29 Maggio 1900.
MARGHERITA DI SAVOIA – GENOVA REGINA D’ ITALIA
Arc. 2607: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Figlia di Ferdinando di Savoia – Genova e Elisabetta di Sassonia e futura prima Regina consorte d’Italia ( Torino 20 Novembre 1851 – Bordighera 4 Gennaio 1926 ). Margherita venne alla luce nel Palazzo Chiablese di Torino alle 0.45 del 20 novembre 1851, figlia di Ferdinando di Savoia-Genova, primo duca di Genova, e di Elisabetta di Sassonia, figlia del re Giovanni di Sassonia. Il battesimo fu celebrato lo stesso giorno in una cappella «all’opportunità allestita e con splendidezza adornata», alla presenza del presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio, di Alfonso La Marmora e del conte di Cavour, allora ministro della Marina e dell’Agricoltura e Commercio. Rimase orfana di padre all’età di quattro anni; con la madre e il fratello minore Tommaso, duca di Genova passò l’infanzia e l’adolescenza nel Palazzo Chiablese. Elisabetta era stata confinata da Vittorio Emanuele II al castello di Govone prima e nella villa di Stresa poi, come punizione per avere sposato clandestinamente un borghese, Nicola Rapallo (1856). L’intercessione di Giovanni di Sassonia e di Aleksandra Fëdorovna, zarina madre, portò alla riabilitazione di Elisabetta e all’accettazione del matrimonio, mentre lo sposo fu creato marchese di Rapallo. Membro della famiglia reale italiana negli anni in cui fu al fianco di Umberto come principessa ereditaria e, dal 1878, come regina d’Italia, esercitò una notevole influenza sulle scelte del marito e un grande fascino sulla popolazione, facendo sapiente uso delle proprie apparizioni pubbliche, concepite per attrarre il popolo con un abbigliamento ricercato e una costante affabilità. Secondo Ugoberto Alfassio Grimaldi, fu il personaggio politico dell’Italia unita che suscitò, dopo Giuseppe Garibaldi e Benito Mussolini, «i maggiori entusiasmi nelle classi elevate e nelle classi umili». Cattolica, fieramente attaccata a Casa Savoia e profondamente reazionaria, fu una nazionalista convinta e sostenne la politica imperialista di Francesco Crispi. L’incitamento alla repressione delle rivolte popolari, come avvenne nei moti di Milano del 1898, per quanto controverso, non ne compromise l’immagine, forse perché fu la prima donna italiana a sedere sul trono del paese neocostituito. A corte gestì un circolo culturale settimanale che le valse l’ammirazione di poeti e intellettuali e la collocò forse, almeno sotto questo aspetto, più a sinistra di molte altre dame dell’aristocrazia. I suoi balli, inoltre, come quelli cui partecipò, celavano spesso un piano diplomatico, e nelle sue intenzioni cercarono in particolare di assicurare una mediazione con l’aristocrazia “nera”, rimasta fedele al Vaticano dopo la presa di Roma. Molti furono gli omaggi popolari e poetici tributati alla nobildonna , anche negli anni successivi all’assassinio del marito, quando diventò regina madre. Fotografia CDV. Fotografo sconosciuto. 1860 ca.
Onorificenze
Dama Nobile dell’Ordine della regina Maria Luisa
Arc. 2607: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1865 ca.
Arc. 1039: S.A.R Margherita di Savoia – Genova con il fratello Tommaso di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino. 1865 ca.
Arc. 1932: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1865 ca.
Arc. 1765: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: A. Bernoud – Naples – Florence – Livourne.
Arc. 1676: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1865 ca.
Arc. 1076: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1868 ca.
Arc. 1868: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1868 ca.
Arc. 737: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1868 ca.
Arc. 2615: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1868 ca.
Arc. 3200: S.A.R Margherita di Savoia – Genova. Fotografia formato gabinetto. Fotografo: H. Le Lieure – Torino. 1868 ca.
Arc. 2418: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1868 ca.
Arc. 1206: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1868 ca.
Arc. 2428: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1868 ca.
Arc. 382: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: E. Neurdein – Paris. 1868 ca.
Arc. 1765: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1306: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1869 ca.
Arc. 1818: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1869 ca.
Arc. 2201: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia formato gabinetto. Fotografo: L. Montabone – Torino.
Arc. 399: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte con il figlio Vittorio Emanuele futuro Re d’Italia. Fotografia CDV. Fotografo: E. Behles – Roma. 1869 ca.
Arc. 1206: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Tuminello – Roma. 1870 ca.
Arc. 2273: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1875 ca.
Arc. 1530: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Principessa di Piemonte. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1875 ca.
Arc. 1939: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1880 ca.
Arc. 1939: S.A.R Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1880 ca.
Arc. 1940: S. M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1880 ca.
Arc. 1534: S.M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1880 ca.
Arc. 2608: S.M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,3. Fotografo: Sconosciuto. 1880 ca.
Arc. 2609: S.M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia formato gabinetto 10,7 x 16,4. Fotografo: Montabone – Roma. 1880 ca.
Arc. 1766: S.M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,2. Fotografo: H. Le Lieure – Roma. 1880 ca.
Arc. G3: S.M. Margherita di Savoia – Genova Regina d’Italia. Fotografia formato gabinetto 35 x 45. Fotografo: Montabone – Firenze. 1880 ca.
MARIA CLOTILDE DI SAVOIA
Arc. 626: S.A.R. Maria Clotilde di Savoia (Torino, 2 marzo 1843 – Moncalieri, 25 giugno 1911). Maria Clotilde di Savoia nacque nel palazzo reale di Torino il 2 marzo 1843, figlia primogenita di Vittorio Emanuele II (allora ancora principe) e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. La madre si prese direttamente cura della sua prima educazione, rinunciando a balie e nutrici, trascorrendo con la piccola lunghi periodi al castello di Moncalieri assieme alla suocera Maria Teresa, moglie di Carlo Alberto. Clotilde manifestò sin dai primi anni un carattere mansueto e deciso a un tempo: bambina, imparò le preghiere e sviluppò un’inclinazione per una vita improntata agli insegnamenti della morale cattolica. Chechina, come fu presto chiamata, seguì in seguito il percorso riservato alle sue coetanee aristocratiche. Le sue giornate erano rigidamente scandite: le lezioni delle varie materie scolastiche venivano impartite da precettori scelti tra professori di rango, e a questo si accompagnavano la formazione spirituale e anche attività di maggior svago quali l’equitazione, da lei particolarmente amata. Venne affiancata inoltre dalla governante Paolina di Priola, che avrebbe ricordato con affetto molti anni più tardi, incontrando una sua pronipote. Clotilde dovette presto sperimentare oltremisura le mortificazioni promesse nell’intimo dei suoi pensieri: alle rinunce quotidiane si affiancarono, nel 1855, quattro lutti. Il 12 gennaio morì la nonna Maria Teresa. La sera del 16, giorno dei funerali, la madre Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena fu costretta a letto da una gastroenterite che la portò rapidamente alla morte, avvenuta il 20, due giorni dopo che la figlia aveva avuto modo di salutarla per l’ultima volta. Il decesso dello zio Ferdinando, duca di Genova, l’11 febbraio, e la perdita in maggio del fratellino Vittorio Emanuele completarono il triste quadro. La principessa affrontò il dolore con le armi della fede, che andò fortificando, come si evince da quanto scrisse nel diario, nelle lettere del tempo e, molti anni più tardi, nelle sue memorie. Continuò quindi la propria formazione spirituale, accompagnata dal monsignore domenicano Giovanni Tommaso Ghilardi, vescovo di Mondovì, dal barnabita Cesare Lolli e dall’abate Stanislao Gazzelli. Al tempo stesso, si fece apprezzare a corte anche per le buone maniere. In quanto prima donna dei Savoia, fu chiamata a fare gli onori di casa quando la zarina madre, Aleksandra Fëdorovna, venne a Torino nel maggio 1856 per tentare di ammorbidire i rapporti tra i Savoia e la Russia, scontratisi nella guerra di Crimea. Dovette ricoprire lo stesso ruolo nel dicembre 1857, in occasione della visita del granduca Costantino, fratello dello zar Alessandro II. Nel 1858 Cavour gestiva abilmente le trame diplomatiche piemontesi. Siccome l’imperatore francese Napoleone III, che già aveva avuto un passato liberale, sembrava ben disposto verso la causa risorgimentale italiana, il conte impiegò i propri sforzi nel formare un’alleanza con la Francia. Così, in segreto, i due uomini si incontrarono il 21 luglio a Plombières per concludere i celebri accordi. L’imperatore chiedeva la cessione di Nizza e della Savoia in cambio del suo aiuto, prodromo della Seconda guerra d’indipendenza italiana. Inoltre prometteva di garantire la propria protezione su un regno dell’Italia centrale svincolato dal potere pontificio e guidato, nei suoi obiettivi, dal cugino Napoleone Giuseppe Carlo Paolo (detto Girolamo) Bonaparte, nipote del più celebre Napoleone. Perché ciò fosse possibile, e perché l’alleanza fosse più stabile, era necessario un matrimonio tra Girolamo e una principessa di casa Savoia. La scelta cadde così su Clotilde. L’imperatore non fece delle nozze una conditio sine qua non per il rispetto degli accordi, ma Cavour capì facilmente come un rifiuto avrebbe compromesso le speranze di ricevere dalla Francia il sostegno necessario. Girolamo non aveva solo vent’anni più della possibile sposa, ma anche e soprattutto una concezione diversa della vita. Anch’egli liberale sin dalla giovinezza, si era spesso imbarcato in relazioni amorose fugaci e conduceva una vita lontana dai precetti della Chiesa, verso i quali nutriva al contrario un notevole fastidio. Tornato in Italia, il primo ministro informò Vittorio Emanuele, delegandogli il compito di informare la figlia sull’unione prospettata a Plombières. Dal castello di Casotto sopra Garessio. Clotilde spedì una lettera a Cavour, manifestando con molta gentilezza la sua naturale opposizione al matrimonio proposto, assieme alla consapevolezza del suo significato politico e a un pieno abbandono nella fede in Cristo. La primogenita del re passò tutto il mese di agosto a Casotto, meditando sulla risposta, e a settembre tornò a Racconigi. Fu qui che prese una decisione definitiva, accettando le nozze. Per quanto la scelta fosse condizionata da ragioni politiche, derivò in buona parte anche dalla convinzione di realizzare, attraverso una consapevole e al tempo stesso sacrificante adesione ai desideri di Cavour e dell’imperatore francese e alle esigenze della patria, la volontà di Dio. Pose tuttavia un’unica condizione: vedere il fidanzato prima di andare all’altare. La visita di Gerolamo veniva procrastinata, sicché la principessa ebbe intanto modo di lasciare Racconigi per tornare in città. L’incontro tra i futuri coniugi avvenne a Torino il 16 gennaio 1859, e permise di sciogliere le ultime riserve di Clotilde, rendendo ufficiali le imminenti nozze. L’annuncio suscitò veementi proteste all’interno della corte torinese, indignata nel vedere come la vita di una quindicenne venisse sacrificata per soddisfare le trame politiche dei governanti. Una missiva coeva, indirizzata da Costanza d’Azeglio al figlio Emanuele, svela la « riprovazione » di « tutte le classi sociali »: « La nobiltà l’ha manifestata non andando affatto alla prima illuminazione del teatro e al ballo Cavour ». Dopo questa dimostrazione, però, si « è andati in folla a teatro e a Corte », per « non tenere il broncio al Re e ancor meno alla principessa, che è molto amata ». Il 23 gennaio il generale Niel formulò al padre della sposa la richiesta ufficiale, mentre il 28 furono verbalizzati gli accordi di Plombières in un incontro tra il re, Gerolamo e l’imperatore. Domenica 30 gennaio 1859, nella cappella reale della Sacra Sindone, il rito del matrimonio venne officiato dall’arcivescovo di Vercelli Alessandro d’Angennes, ma concelebrarono anche i presuli di Casale Monferrato, Savona, Pinerolo e Susa. Clotilde rinunciava formalmente alla corona, portando in dote 500.000 lire, cui vanno aggiunte 300.000 lire di gioielli e 100.000 di corredo. Napoleone III poté quindi anche accrescere il prestigio della sua famiglia, imparentandola con una delle più antiche dinastie europee. Come era d’uso in occasione delle nozze di Casa Savoia, una grande festa seguì il rito sacro: parate e spettacoli nelle strade torinesi si unirono al fastoso ricevimento allestito in municipio. Una discreta somma, inoltre, fu devoluta ai poveri, a Torino come in Francia. Il giorno stesso del matrimonio gli sposi lasciarono la città. Il re, Cavour e La Marmora li accompagnarono in treno sino a Genova, dove tutti insieme assistettero, la sera, ad una rappresentazione presso il teatro Carlo Felice, tra l’entusiasmo della folla. Dopo aver dormito due notti sotto la Lanterna, Clotilde salutò il padre e salpò in direzione di Marsiglia, per proseguire in seguito alla volta della capitale francese. Nel pomeriggio del 4 settembre la principessa lasciò la Provenza a bordo di un treno imperiale, giungendo la mattina seguente a Fontainebleau; qui fece la conoscenza del suocero Gerolamo e della cognata Matilde ed infine, la sera del medesimo giorno, arrivò a Parigi, accolta a corte dalla coppia imperiale. Clotilde visse nella grande città francese per molti anni, non compresa dal marito, senza curarsi granché degli splendori della corte imperiale, e tutta dedita alla beneficenza. Modesta, ma fiera: quando l’imperatrice Eugenia, che non proveniva da una famiglia reale, le propose di saltare « il solito ricevimento dei funzionari », perché, continuò, « forse sarebbe troppo faticoso per voi », rispose: « Voi dimenticate, Signora, che io sono nata a corte e che a certe funzioni mi hanno abituata sin dall’infanzia », accentuando nell’imperatrice spagnola l’istintiva antipatia nei confronti di Clotilde, destinata poi ad attenuarsi con il tempo. Sin dall’inizio il coniuge, grazie ai ricevimenti ufficiali o alle serate libere che poteva trascorrere nel proprio appartamento privato, approfittò delle occasioni mondane offerte in grande quantità dalla città, non esitando a tradire la moglie. Girolamo riprese subito « tutte le sue abitudini di maturo scapolo », nonostante i « rimbrotti del padre, che nutrì una vera predilezione per la giovane nuora », e della sorella Matilde, e nonostante si affrettasse a rassicurare il suocero Vittorio Emanuele e il conte di Cavour sull’affetto che circondava Clotilde e sul proprio desiderio di renderla felice. Tuttavia, la principessa scriveva il 26 marzo ad un’amica di stare « a maraviglia » e di « essere estremamente felice ». Facendo leva su una fede sempre più solida, riusciva a sopportare di essere solo una pedina nello scacchiere politico, nonché l’infedeltà del marito, ricorrendo alla Messa quotidiana nella sua cappella privata al Palais-Royal e alla regolare assistenza ai malati in ospedale. La vita parigina di Clotilde fu tutta improntata in senso cristiano. Dopo la Messa quotidiana si recava ad assistere gli ammalati, mentre in casa sopportò la distanza di vedute con il coniuge, il quale solo raramente rompeva la solitudine della giovane donna, preferendo rimanere nei propri appartamenti. Il 20 giugno 1859 Clotilde si consacrò figlia di Maria nel convento agostiniano « Des Oiseaux », che aveva preso a frequentare regolarmente, e tre giorni più tardi « entrò nella locale associazione del Sacro Cuore di Gesù », inaugurando una devozione cui rimarrà sempre legata. Nel giugno 1860 la già precaria salute del suocero di Clotilde, Gerolamo, con cui la nobildonna aveva instaurato sin dal principio un rapporto affettuoso, peggiorò. La coppia giunse al capezzale del morituro a Vilgénis, in Seine-et-Oise. Nei giorni che seguirono, la figlia di Vittorio Emanuele accudì il malato quotidianamente, desiderando che potesse ricevere l’estrema unzione prima del trapasso. Pur conoscendo la volontà contraria del marito, Clotilde scrisse agli imperatori chiedendo l’invio di un ecclesiastico: il 23 giugno arrivarono a Vilgénis il cappellano di corte e l’arcivescovo di Parigi. Gerolamo morì ricevendo l’estrema unzione. Furibondo, il consorte cacciò la principessa da Vilgénis e la allontanò dalla famiglia. Il 24 la donna tornò comunque a Vilgénis, dove assistette al trapasso del suocero, mentre questi, pare, « abbozzava un sorriso al crocifisso che la suora gli porgeva ». Gli eventi italiani andarono nel frattempo accelerando, e anche oltre oceano l’incipiente Guerra di secessione americana suscitava gli interessi della politica francese. Nella primavera del 1861 il marito di Clotilde si imbarcò alla volta del Nuovo Mondo, deciso ad ottenere vantaggi commerciali per il suo paese. Quando seppe che sullo yacht era salita anche la giovane principessa, Vittorio Emanuele si lasciò andare ad una certa perplessità, preoccupato per il lungo viaggio, che doveva comunque condurre la primogenita solo fino a Lisbona. Tuttavia Clotilde volle accompagnare Napoleone fino in America. Ottenuto il consenso del consorte, dopo oltre due mesi di navigazione sbarcò con lui a New York, dove fu lasciata qualche tempo da sola, mentre Plon Plon si dirigeva verso gli Stati del Nord e verso il Canada. Nella grande città la donna ricominciò a seguire regolarmente la Messa e riprese le pratiche di pietà, da cui durante la traversata si era astenuta per non irritare il marito. A New York frequentò anche con assiduità il convento del Sacro Cuore. Fu, il viaggio americano, uno dei rari momenti di intimità con il coniuge. Al ritorno in Francia Clotilde era incinta per la prima volta. Tuttavia, la distanza tra marito e moglie non tardò a manifestarsi nuovamente: Napoleone premeva affinché il potere temporale della Chiesa venisse ridimensionato, mentre la nobildonna, la cui mentalità non poteva accettare uno stato laico, si raccoglieva in preghiera, impetrando la conversione del consorte. Numerosi sono i destinatari della sua corrispondenza cui chiedeva di fare altrettanto, mostrandosi preoccupata per l’anima del Bonaparte. Il 18 luglio 1862 nacque il primogenito della coppia, Vittorio Napoleone, battezzato privatamente e senza cerimonia ufficiale. La madre volle occuparsi personalmente del bambino, che dovette abbandonare per un breve periodo nel mese di ottobre. Il matrimonio della sorella Maria Pia con il re portoghese Luigi la richiamò infatti a Torino, dove dai tempi delle nozze non era più tornata. Per la prima volta rivide così il padre, i fratelli e i luoghi dell’infanzia. Dopo la festa, Clotilde si imbarcò con il marito alla volta dell’Egitto, dove si concedette una breve crociera. La donna sperava che il viaggio la potesse portare in Terra Santa, ma il suo desiderio non si realizzò. Caduto il Secondo Impero, nel settembre del 1870, Clotilde decise di rimanere nella città in rivolta, malgrado le insistenze del padre perché rientrasse in patria. Fuggiti tutti i Bonaparte (l’imperatrice Eugenia lasciò la capitale travestita e fuggì in Inghilterra) e proclamata la repubblica, Clotilde di Savoia lasciò per ultima, sola, il 5 settembre in pieno giorno, Parigi, con la sua carrozza scoperta e le sue insegne. La guardia repubblicana le rese gli onori. Profondamente religiosa, subì i comportamenti libertini e la vita dissipata del marito, che in seguito l’abbandonò, lasciandola in ristrettezze economiche. Il 10 luglio 1942 ebbe inizio la sua causa di beatificazione. Fu detta “la santa di Moncalieri”, dal nome del castello dove s’era ritirata. Fu sepolta nella basilica di Superga, insieme agli altri prìncipi e duchi di Savoia. Nella chiesa di Santa Maria a Moncalieri le fu innalzato un monumento, opera di Pietro Canonica, che la rappresenta inginocchiata in estasi mistica. Il 10 luglio 1942 fu introdotta la causa di beatificazione di Maria Clotilde da parte di Papa Pio XII, il quale dichiarò la principessa Serva di Dio e la causa di beatificazione della principessa è ancora aperta. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1860 ca.
Onorificenze
Dama di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Dama Nobile dell’Ordine della regina Maria Luisa
Dama dell’Ordine della Croce Stellata
Arc. 972: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri e il marito Principe Napoleone Giuseppe Girolamo Bonaparte. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1860 ca.
Arc. 1017: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1862 ca.
Arc. 1600: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1862 ca.
Arc. 1807: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri e il primogenito Vittorio nato nel 1862. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1863 ca.
Arc. 1501: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1862 ca.
Arc. 626: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1865 ca.
Arc. 1682: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: C.D. Fredericks – New York. 1865 ca.
Arc. 1017: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia Contessa di Moncalieri. Fotografia CDV. Fotografo: C. D. Fredericks – New York. 1865 ca.
Arc. 1203: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1865 ca.
Arc. 1682: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1865 ca.
Arc. 2420: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1866 ca.
Arc. 576: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia con i figli Luigi e Letizia. Fotografia CDV. Fotografo: Frank – Paris. 1866 ca.
Arc. 1878: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia con i figli Vittorio, Luigi e Letizia. Fotografia CDV. Fotografo: Le Jeune – Paris. 1868 ca.
Arc. 1215: S.A.R. Principessa Maria Clotilde di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Frank – Paris. 1868 ca.
VITTORIO BONAPARTE
Arc. 1321: Napoleone Vittorio Bonaparte, nome completo Napoleone Vittorio Gerolamo Federico Bonaparte (Parigi, 18 luglio 1862 – Bruxelles, 3 maggio 1926). Napoleone Vittorio divenne, alla morte del padre avvenuta nel 1891, capo del casato dei Bonaparte, nonostante il fatto che il fratello minore, il principe Luigi Napoleone (1864 – 1932), colonnello presso la Guardia imperiale russa, fosse preferito come Capo della Famiglia, da numerosi bonapartisti. Già Napoleone Eugenio Luigi, morto nel 1879, aveva nominato Vittorio suo successore escludendo il principe Giuseppe, padre di Vittorio e ovviamente precedente nella linea di successione. Per questo motivo Vittorio e il padre entrarono in lite, troncando ogni legame tra loro. Quando nel 1886 la Repubblica francese esiliò tutti i principi della dinastia Bonaparte, Vittorio lasciò la Francia e si stabilì in Belgio. La Francia si trovava, all’indomani della Guerra Franco-Prussiana conclusasi nel 1871, con una situazione interna molto instabile, a causa dei contrasti tra repubblicani e monarchici. La minaccia di un colpo di Stato era incombente. Quando morì improvvisamente il presidente della Repubblica francese Félix Faure, nel 1899, in concomitanza con il famoso Affare Dreyfus, si toccò l’apice dell’instabilità. In questo clima ci fu un buon numero di fazioni politiche che tentarono di avvantaggiarsi dei disordini e il principe Vittorio annunciò, a una delegazione inviatagli dagli Imperialisti, che avrebbe tentato, se il momento favorevole si fosse presentato, di ripristinare l’Impero. Avendo questo obiettivo dichiarò anche di volersi mettere a capo del movimento con il fratello minore, il principe Luigi, il quale avrebbe portato alle forze bonapartiste i suoi talenti militari conseguiti al servizio dell’Armata russa. Pure il duca di Orléans, Luigi Filippo Roberto d’Orléans, pretendente anch’egli al trono di Francia, disse di avere delle forze pronte ad attraversare il confine francese per unirsi a quelle bonapartiste. Ma alla fine il colpo di Stato non ebbe luogo e la Terza Repubblica sopravvisse a questa, che fu considerata la sua più grave crisi. Il 14 novembre del 1910 Vittorio sposò, in Italia, a Moncalieri la principessa Clementina del Belgio (1872 – 1955), figlia cadetta del re dei belgi Leopoldo II (1835 – 1909) e della regina Maria Enrichetta d’Asburgo-Lorena (1836 – 1902). Nonostante il fatto che Napoleone Vittorio e Clementina fossero molto innamorati, per potersi sposare dovettero attendere la morte del padre di lei. Il dispotico e intollerante Leopoldo II fu infatti molto contrariato dalle scelte matrimoniali delle figlie. Le due maggiori Luisa Maria e Stefania furono diseredate entrambe per avere fatto scelte a lui non gradite. Nel caso di Clementina invece l’opzione non venne approvata per non danneggiare i rapporti politici tra il Belgio e la Francia. Fotografia formato gabinetto 10,8 x 16,5. Fotografo: Montabone – Torino. 1877 ca.
Arc. 1731: Principe Napoleone Vittorio Bonaparte. Fotografia CDV. Fotografo: E. Tourtin – Paris. 1882 ca.
NAPOLEONE LUIGI GIUSEPPE GIROLAMO BONAPARTE
Arc. 3081: Principe Napoleone Luigi Giuseppe Girolamo Bonaparte (1864 – 1932). Secondo figlio del principe Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte, detto Gerolamo e della principessa Maria Clotilde di Savoia. Fu principe e generale russo.
MARIA PIA DI SAVOIA
Arc. 537: Principessa Maria Pia di Savoia (Torino, 16 ottobre 1847 – Stupinigi, 5 luglio 1911). Sposò a Lisbona il 6 ottobre 1862 Luigi del Portogallo, da cui ebbe due figli: Carlo e Alfonso Carlo. In occasione delle sue nozze, il padre Vittorio Emanuele II emanò un’amnistia che condonò la pena al generale Giuseppe Garibaldi, incarcerato nella fortezza di Varignano a seguito della giornata d’Aspromonte. Fu una donna dal carattere bizzarro, ma di grande coraggio: durante una passeggiata vide due ragazzini che stavano per affogare nel Tago; senza indugio si gettò in acqua e li trasse a riva. In occasione di un incendio nel teatro dell’opera di Oporto si gettò fra le fiamme, sfidando la morte per trarre in salvo delle persone. Poiché gli abitanti volevano che fosse insignita di un’onorificenza, rifiutò rispondendo che il suo gesto era stato il suo ringraziamento per l’ospitalità che la città di Oporto aveva offerto a suo nonno Carlo Alberto. Dopo l’assassinio del figlio e del nipote il 1º febbraio 1908, cominciò a dar segni di demenza, male che si aggravò dopo la proclamazione della Repubblica, il 5 ottobre 1910. Seguì il resto della famiglia in esilio, tornando nella sua terra natale, in Piemonte, dove morì l’anno seguente. Fu sepolta a Torino nel Pantheon reale dei Savoia nella basilica di Superga. È l’unica regina di Portogallo a non esser sepolta nel Pantheon reale dei Braganza. Da ultimo le autorità portoghesi ne hanno chiesto la traslazione in Portogallo. A Oporto le fu dedicato il Ponte Maria Pia. Ad Alghero nel 1934 fu inaugurata un’azienda agricola in suo onore; mantenendone il nome, Maria Pia, oggi vi sorge la principale zona sportiva della città sarda. A Taranto è stata eretto un istituto superiore in onore della principessa. Attraversando il comune di Rocca Valleoscura, proveniente da Sulmona (dove soggiornò il 20 ottobre nella villa di don Raffaele Orsini presso l’abbadia dei Celestini) mentre si recava incontro a Garibaldi a Teano, il re Vittorio Emanuele II accolse la preghiera della municipalità e decise di chiamare il paese Rocca Pia, per l’affetto che nutriva per la sua amata figlia Maria Pia. La proposta fu portata in Consiglio Comunale (decurionato) solo il 4 giugno 1863 e autorizzata con Decreto Regio del 10 dicembre 1865. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1862 ca.
Onorificenze
Onorificenze sabaude
Dama di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Onorificenze portoghesi
Gran Maestro dell’Ordine di Santa Isabella
Dama di Gran Croce dell’Ordine dell’Immacolata Concezione di Vila Viçosa Onorificenze straniere
Dama dell’Ordine della Croce Stellata (Impero austriaco)
Dama dell’Ordine di Teresa di Baviera (Regno di Baviera)
Dama di Gran Croce dell’Ordine Imperiale di San Carlo (Secondo Impero Messicano)
Dama d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di Malta (SMOM)
Dama Nobile dell’Ordine della regina Maria Luisa (Spagna)
Rosa d’oro (Santa Sede) «Nel giorno del suo battesimo dal padrino, papa Pio IX.»
1849
Arc. 990: Principessa Maria Pia di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 381: Principessa Maria Pia di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino.
Arc. 2420: Principessa Maria Pia di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz Torino. 1865 ca.
Arc. 2302: Principessa Maria Pia di Savoia. Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino. 1865 ca.
Arc. 563: S.A.R. Maria Pia di Savoia Regina Consorte di Portogallo e Algarve. Fotografia CDV. Fotografo: Disdèri – Paris. 1875 ca.
Arc. 2419: S.A.R. Maria pia di Savoia, il marito Re Luigi I del Portogallo, il figlio Carlo, la sorella Principessa Maria Clotilde con il figlio Vittorio. Fotografia CDV. Fotografo: C. Bernieri – Torino. 1867 ca.
Arc. 1157: Principessa Maria Pia di Savoia con i gentiluomini e le dame della sua casa. Seduta accanto a lei la marchesa Carolina Pes di Villamarina sua governante. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino.
Arc. 2419: Carlo di Braganza (Lisbona, 28 settembre 1863 – Lisbona, 1º febbraio 1908). Ebbe una solida educazione per essere preparato ad essere un giorno un ottimo monarca costituzionale. Viaggiò dal 1883 in Italia, Inghilterra, Francia e Germania, avendo così modo di incrementare le proprie conoscenze sulla civilizzazione del mondo del suo tempo. Nel 1883, 1886 e 1888 fu reggente per conto del padre che si trovava in viaggio all’estero. Carlo divenne re il 19 ottobre 1889 alla morte del padre. La sua incoronazione ebbe luogo il 28 dicembre 1889 con la partecipazione tra gli altri di Pietro II, deposto imperatore del Brasile, in esilio dal 6 di quello stesso mese. Carlo nella sua epoca era un uomo considerato intelligente, ma estremamente capriccioso e volubile e per questo il suo regno fu caratterizzato da crisi politiche costanti e conseguente insoddisfazione. Proprio all’inizio del suo governo il Regno Unito presentò al Portogallo l’ultimatum britannico del 1890 che intimidì la politica espansionistica coloniale del Portogallo, minacciando di dichiarare guerra tra i due stati se non fossero stati liberati i confini tra Angola e Mozambico in breve tempo. I suoi rapporti col Regno Unito migliorarono proprio con la sigla di quel trattato che definì i confini tra lo Zambesi e il Congo, stabilizzando così la situazione in Africa, sebbene questi contratti non fossero visti positivamente in Portogallo in quanto erano ritenuti svantaggiosi per il bene dello Stato. Come conseguenza già dal 1891 scoppiò una rivolta guidata dai repubblicani che però venne ben presto risolta.Nonostante la grave crisi che Carlo dovette affrontare all’inizio del suo regno con l’Inghilterra, il re seppe invertire la situazione e, grazie alle sue eccezionali doti diplomatiche, mise il Portogallo al centro della diplomazia europea del primo decennio del XX secolo, fatto al quale indubbiamente contribuirono le sue ramificate parentele. Più volte colse l’occasione per spostarsi all’estero, rappresentando personalmente il Portogallo al funerale della regina Vittoria nel 1901. Una prova del successo del suo lavoro fu indubbiamente la prima visita all’estero che compì il nuovo sovrano del regno unito, Edoardo VII, che fu proprio in Portogallo, dove fu ricevuto con tutta la pompa della circostanza nel 1903. Negli anni seguenti, Carlo ricevette a Lisbona le visite di Alfonso XIII, il giovane monarca spagnolo, della regina Alessandra (moglie di Edoardo VII), di Guglielmo II di Germania e, nel 1905, del presidente della Repubblica Francese, Émile Loubet. Tutte queste visite diedero un po’ di colore alla corte di Lisbona, ma la visita del presidente francese colse l’occasione per far manifestare ancora una volta i repubblicani locali. Carlo e Amelia contraccambiarono queste visite in Spagna, Francia ed Inghilterra, mentre gli fu impossibile raggiungere il Brasile nel 1908 come aveva programmato per celebrare il primo centenario dell’apertura dei porti brasiliani a causa della sua tragica morte. All’inizio del 1908 Carlo I si era recato come ogni anno al Palazzo di Vila Viçosa, una delle residenze più antiche della famiglia e la preferita di Carlo I. Qui Carlo I aveva riunito i suoi amici più cari e con loro era andato a caccia per tutto il periodo. Fu in questo periodo che si tenne il primo tentativo di attentato ai danni del re che portò all’arresto di António José de Almeida, di Luce Almeida, dei giornalisti João Chagas, Franco Borges, João Pinto dos Santos e Alvaro Poppe, del visconte di Ribeira Brava, del dottor Egas Moniz e di altri. Franco reagì con durezza a questo tentativo e preparò la deportazione nelle colonie o l’esilio all’estero per i congiurati. Il re ricevette la documentazione quando ancora era a Vila Viçosa e si dice che firmandola abbia detto “Sto firmando la mia condanna a morte, ma lo avete tanto desiderato…”. Il 1º febbraio 1908 la famiglia reale stava facendo ritorno dal palazzo di Vila Viçosa a Lisbona. Viaggiando in treno da Barreiro, essa dovette attraversare il Tago in barca e per farlo dovette scendere dal piazzale della stazione, salire in carrozza e recarsi al porto. Mentre stavano compiendo questo tragitto, due attivisti repubblicani, Alfredo Costa e Manuel Buiça, spararono alla famiglia reale, colpendo a morte Carlo I che rimase ucciso sul colpo e suo figlio, il principe ereditario Luigi Filippo, che morì poco dopo, oltre a ferire al braccio l’infante Manuel, mentre la regina rimase miracolosamente illesa. Gli assassini vennero uccisi sul posto dai membri della guardia reale e solo in seguito vennero riconosciuti come membri del movimento repubblicano. La morte del re Carlo I e del principe ereditario del Portogallo, provocarono l’indignazione di tutta l’Europa, soprattutto dell’Inghilterra dove il re Edoardo VII deplorò fortemente l’impunità dei responsabili dell’attentato. Questa impunità fu dovuta alla caduta di João Franco che venne accusato di non aver correttamente vigilato sul sovrano ma che in realtà aveva perso il proprio appoggio al governo: si era tornati a ciò che il defunto re aveva predetto nella sua lettera al principe di Monaco, ovvero ai partiti tradizionali. Il trono, sette giorni più tardi, fu affidato al figlio secondogenito della coppia, Emanuele (Manuel), che fu l’ultimo re del Portogallo prima della proclamazione della repubblica nel 1910. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1870 ca.
Onorificenze
Onorificenze portoghesi
Fascia dei tre ordini
Gran Maestro dell’Ordine del Cristo
Gran Maestro dell’Ordine della Torre e della Spada
Gran Maestro dell’Ordine di San Giacomo della Spada
Gran Maestro dell’Ordine Militare di San Benedetto d’Avis
Gran Maestro dell’Ordine dell’Immacolata Concezione di Vila Viçosa Onorificenze straniere
Gran Croce e Collare dell’Ordine di Carol I 1906
Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro
Cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera
Royal Victorian Chain
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Reale Vittoriano
Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata 1873
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro 1873
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia 1873
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
Cavaliere dell’Ordine dei Serafini 23 maggio 1873
Cavaliere dell’Ordine dell’Elefante 7 ottobre 1883
ODDONE DI SAVOIA
Arc. 386: Oddone Eugenio Maria di Savoia duca di Monferrato (Racconigi, 11 luglio 1846 – Genova, 22 gennaio 1866). Figlio di Vittorio Emanuele II. Nato con una grave malattia genetica, dall’età di due anni ne mostrò i sintomi gravemente invalidanti (nanismo e deformità nello sviluppo); venne perciò posto ai margini dalla vita di corte di casa Savoia per le precarie condizioni di salute. Dotato di intelligenza non comune, intraprendenza e vivacità intellettuale, si dedicò quindi allo studio, interessandosi nella sua breve esistenza a varie materie, scientifiche e artistiche. Trascorse l’estate 1861 a Pegli (allora comune autonomo poco distante da Genova), dove elesse a sua dimora Villa Lomellini Rostan; oltre che per il clima mite, che giovava alle sue precarie condizioni fisiche, la scelta fu dettata dalla grande passione per il mare, nata in lui già negli anni della primissima infanzia, quando la famiglia reale trascorreva periodi di vacanza a Spezia. Breve fu il ritorno a corte nell’autunno, dato che ben presto, notato l’effetto positivo che il periodo trascorso in riviera aveva portato sia al fisico che allo spirito, gli fu accordato dal padre il permesso di trasferirsi definitivamente a Genova, prendendo dimora a Palazzo Reale. Il periodo genovese fu caratterizzato da un lieto e profondo studio delle discipline tecniche e artistiche: dalla geografia alla musica, dalle lingue alla nautica (per questo suo interesse fu aggregato per volere del padre alla Regia Marina e nominato capitano di vascello). Protettore e promotore delle arti e delle opere dell’intelletto, istituì quattro premi annuali per gli studenti dell’Accademia ligustica di belle arti, di cui fu acclamato presidente ad honorem, così come della Società Ligure di Storia Patria. La sua casa, ricca di una biblioteca di oltre mille volumi, divenne presto luogo di convegno e dibattito culturale per le più illustri personalità cittadine dell’arte e della scienza: autorità civili e militari, docenti universitari, accademici, artisti, fra cui lo scultore Santo Varni, che gli fu consigliere e amico, Tammar Luxoro e Domenico Pasquale Cambiaso. Il 5 giugno 1862 partì con i fratelli alla volta dell’Oriente per un viaggio d’istruzione a bordo della pirofregata Governolo: visitò Cagliari, Palermo, Catania, Messina, Napoli, Pompei, sino a giungere il 16 agosto a Costantinopoli, dove il viaggio si concluse. I reali viaggiatori fecero ritorno a Genova il 15 settembre. Il viaggio influenzò profondamente lo spirito del giovane Oddone, accendendone l’interesse per le antichità e l’arte classica e consentendogli di dare inizio a una ricca collezione di oggetti d’arte. Nell’estate 1863 poté compiere un nuovo viaggio in Sardegna e a Napoli, dove si interessò all’archeologia, finanziando scavi diretti dall’illustre archeologo Giuseppe Fiorelli. Tornato a Genova, si dedicò allo studio della storia naturale sotto la direzione di Michele Lessona, in particolare alla malacologia, mettendo insieme una ricca collezione di conchiglie, alghe e colibrì (collezione oggi esposta al Museo di storia naturale Giacomo Doria). Nell’estate 1864 i medici non gli consentirono di intraprendere un nuovo viaggio, ma consigliarono piuttosto i bagni di mare, per cui il giovane Oddone andò ospite del marchese Ala Ponzone nell’elegante Villa Durazzo Bombrini, nella cittadina rivierasca di Cornigliano (oggi quartiere della periferia occidentale di Genova). Ritornatovi l’anno successivo, Oddone concepì l’idea di eleggerla a propria dimora definitiva, centro delle sue collezioni e dei suoi studi, e grazie all’intercessione del padrino, il principe Eugenio di Carignano, Vittorio Emanuele acconsentì all’acquisto. Morì a neppure vent’anni al Palazzo Reale di Genova, nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1866. Lasciò in testamento alla città un patrimonio rilevante di vasi greci, bronzi, ceramiche, vetri e gemme romane, oggi custodito al Museo di archeologia ligure. Altri pezzi sono custoditi alla Galleria d’Arte Moderna di Genova a lui intitolata. La città di Genova gli aveva intitolato un tratto dell’appena realizzata prestigiosa circonvallazione a mare (precisamente tra piazza Cavour e corso Aurelio Saffi). Nel 1944 il governo repubblichino fascista, deciso a punire i Savoia dopo l’8 settembre cancellando anche la toponomastica ad essi dedicata, cambiò il nome della strada, scegliendo al posto di Oddone il mazziniano Maurizio Quadrio; la nuova denominazione è rimasta immutata fino a oggi. La città di Torino gli ha intitolato un importante corso di collegamento tra piazza Statuto e piazza Baldissera, al confine del quartiere San Donato. Fotografia CDV. Fotografo: Boglioni – Torino. 1865 ca.
Arc. 1207: S.A.R. Oddone Eugenio Maria di Savoia Duca del Monferrato. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 1953: S.A.R. Oddone Eugenio Maria di Savoia Duca del Monferrato. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1865 ca.
Arc. 2724: S.A.R. Oddone Eugenio Maria di Savoia Duca del Monferrato. Fotografia CDV. Fotografo: C. Molino – Genova. 1865 ca.
Arc. 1040: S.A.R. Oddone Eugenio Maria di Savoia Duca del Monferrato e la sua casa militare. Fotografia CDV. Fotografo: C. Molino – Genova. 1865 ca. Da sinistra:
Di Negro Orazio in gran montura da Viceammiraglio (Genova, 10 febbraio 1809 – Genova, 2 novembre 1872). Iniziò a frequentare giovanissimo, nel 1820, la Scuola di Marina di Genova da cui uscì con il grado di guardiamarina di 2ª classe nel 1824. Nel 1825 partecipò alla spedizione contro Tripoli imbarcato sulla fregata a vela Commercio di Genova. Salì rapidamente di grado, Sottotenente di Vascello nel 1830, Luogotenente di Vascello di seconda classe nel 1835, di prima classe nel 1837, primo Luogotenente di Vascello nel 1839, e Capitano di Vascello di seconda nel 1842. Mentre si trovava imbarcato a bordo del brigantino Staffetta il 12 dicembre 1846 fu insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare per aver contribuito al salvataggio dell’equipaggio del un brigantino greco Alessandro naufragato a causa di un fortunale nel porto di Genova. Comandante della pirocorvetta Tripoli durante il corso della prima guerra d’indipendenza italiana si segnalò durante la spedizione della piccola squadra sarda nell’Adriatico (1848-49), in particolare nelle operazioni nel porto di Pirano, dove riuscì a liberare una imbarcazione veneta catturata dagli Austriaci sotto il fuoco delle batterie nemiche, e per la quale fu insignito della seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare. Promosso capitano di fregata nel corso del 1848, divenne capitano di vascello di seconda classe l’anno successivo e di prima classe nel 1852, assumendo il comando della flotta sarda in navigazione nel Mediterraneo. Nel 1855-1856, con il grado di Capitano di Vascello ed ebbe il comando della flotta sarda, composta dalle fregate a elica Carlo Alberto e Euridice e dalla fregata a ruote Governolo (nave ammiraglia) che prese parte alla spedizione di Crimea. Con le sue navi trasportò il corpo di spedizione piemontese, al comando di Alessandro Ferrero della Marmora, che salpò da Genova il 28 aprile 1855 e giunse la rada di Balaklava il 28 maggio. Alzata la sua insegna sulla “Carlo Alberto”, ottenne di partecipare con le proprie navi, schierata con quelle alleate, che dovevano attaccare Sebastopoli dal mare, ma tale operazione non fu mai attuata. Nel corso di questa missione in Oriente conseguì la fama di ottimo manovratore, e al termine delle operazioni fu insignito della Croce di Commendatore dell’Ordine Militare di Savoia. Promosso Contrammiraglio nel 1859, entrò a far parte del Congresso permanente della marina militare, e poi divenne direttore dell’arsenale marittimo di Genova. Promosso viceammiraglio il 18 aprile 1860, nel giugno dello stesso anno il primo ministro Camillo Benso, conte di Cavour, per mezzo del Viceammiraglio Francesco Serra, gli ordinò di salpare con le sue navi e “dare armi ed attrezzi per aiutare in Sicilia”. Al termine della spedizione piemontese in Italia centrale, mentre ancora il comandante della flotta sarda Carlo Pellion di Persano si trovava impegnato nell’assedio di Gaeta, emerse il difficile problema della fusione tra la ex marina del Regno delle Due Sicilie e quella del Regno di Sardegna. Cavour decise di affidargli il comando del nuovo Dipartimento navale di Napoli affinché operasse con energia il riordinamento militare. Tale decisione trovò l’avversione di Persano, che diede un giudizio negativo sulla persona del Di Negro, e avverti Cavour che Giuseppe Garibaldi non sarebbe mai andato d’accordo con lui ma il Primo ministro restò della sua convinzione. Raggiunta Napoli nei primi giorni del mese di dicembre, iniziò subito a lavorare prendendo dure decisioni. I quadri degli ufficiali erano stati enormemente dilatati in seguito alle promozioni concesse da Garibaldi, di accordo con Persano, e andavano drasticamente ridimensionati, bisognava anche tagliare le spese dell’arsenale, dove i provvedimenti assunti a favore delle maestranze nel corso della dittatura garibaldina comportavano un onere fortissimo per lo Stato. Inoltre si doveva riorganizzare ed aumentare le forze navali tramite una leva di marinai, la messa in armamento di tutte le imbarcazioni disponibili, e l’avvio di nuove costruzioni navali. Nell’aprile 1861, stanco delle opposizioni che incontrava nello svolgimento dell’incarico, si dimise, e chiese ed ottenne il collocamento a riposo, ritirandosi a vita privata nella sua città natale. Il 20 novembre dello stesso anno ricevette la nomina a Senatore del Regno d’Italia e il rango di Viceammiraglio. Prestò giuramento il 3 dicembre, ma non fu mai molto presente in Senato a causa delle sue condizioni di salute. Nel 1863, tuttavia, fu chiamato a reggere il Ministero della Marina del Regno d’Italia durante i governi Farini e Minghetti I. A causa del peggioramento delle sue condizioni di salute si dimise dopo tre mesi. Si spense a Genova il 2 novembre 1872.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia 12 giugno 1856
Medaglia d’argento al valor militare
Medaglia d’argento al valor militare
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza (1 barretta)
Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Onorificenze straniere
Commendatore dell’Ordine della Legion d’onore (Francia)
Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno (Stato Pontificio)
Compagno dell’Ordine del Bagno (Regno Unito)
Medaglia britannica della Guerra di Crimea (Gran Bretagna)
Cavaliere di IV classe dell’Ordine di Sant’Anna (Impero di Russia)
Cavaliere di V classe dell’Ordine di Medjidié (Impero Ottomano)
Cavaliere di II classe dell’Ordine di Nichan Iftikar (Impero Ottomano)
Croce d’argento dell’Ordine del Salvatore (Grecia) Alziary di Malaussena Gustavo in gran montura da Luogotenente di Vascello Ufficiale d’Ordinanza di S.A.R. Oddone di Savoia (Nizza, 1833 – al largo dell’Isola di Lissa, 20 luglio 1866). Figlio del conte Clemente Rossi Tonduti di Peglione, entrò giovanissimo nella Real Scuola di Marina in Genova e ne uscì Guardiamarina nel 1850. Tenente di Vascello nel 1859, partecipò alla campagna dei franco-sardi nell’Adriatico. Nel 1860 per il coraggio dimostrato al bombardamento della città di Ancona, si guadagnò la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Fu prescelto dal re Vittorio Emanuele II per la carica di Ufficiale di Ordinanza del giovane Oddone di Savoia. Allo scoppio della guerra del 1866, il Malaussena venne promosso Capitano di Fregata e nominato comandante in seconda della nave ammiraglia Re d’Italia. Nella tragica giornata di Lissa successe al comando al Faà di Bruno qualche istante prima che la nave affondasse, restando immobile sul ponte, morì vittima del dovere. A guerra finita gli fu concessa una seconda Medaglia d’Argento al Valore ed in suo onore venne imposto il nome di Malaussena a una piccola nave della Regia Marina.
Onorificenze
Medaglia d’argento al valor militare Assedio di Ancona 1860
Medaglia d’argento al valor militare Battaglia di Lissa 1866
Medaglia piemontese della Guerra di Crimea
Cavaliere dell’Ordine della Legion d’onore 1859
Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Monsignor Anzino Bartolomeo Giuseppe cappellano della Casa di S.A.R. Oddone di Savoia.
Sivori Alessandro in gran montura da Capitano di Fregata
Frigerio Gian Galeazzo in gran montura da Luogotenente di Vascello (Milano, 20 aprile 1841 – Roma, 7 aprile 1911). Ammesso alla Scuola di Marina di Genova nel 1853, fu nominato Guardiamarina nel 1856. Sottotenente di Vascello nel 1860, prese parte alla campagna del 1860 – 1861 imbarcato sulla pirofregata Carlo Alberto, meritando una prima Medaglia d’Argento per il comportamento tenuto nei fatti d’arme di Ancona e una seconda per essersi distinto nell’assedio di Gaeta. Partecipò alla campagna navale in Adriatico del 1866 contro l’Austria imbarcato sull’ariete torpediniere Affondatore; da Capitano di Fregata ebbe il comando della pirofregata Maria Adelaide (1874 – 1876) e dell’avviso Staffetta (1877 – 1879), con il quale effettuò la campagna nell’America Meridionale. Nel 1880 in comando della corvetta a ruote Ettore Fieramosca fu inviato in Mar Rosso ad Assab, dove era in corso l’acquisizione della località; l’anno seguente assegnò alla spedizione geografica-diplomatica di Giuseppe Maria Giulietti diretta alla regione del Tigrè, una scorta di dieci marinai al comando del Sottotenente di Vascello Giuseppe Biglieri, che il 25 maggio 1881 fu trucidata a Beilul in un’imboscata tesa da armati del locale sultano. Da Capitano di Vascello comandò le corazzate Dandolo e Roma e prese parte alla campagna d’Africa del 1884-1885 in comando delle pirofregate Venezia e San Martino. Promosso Contrammiraglio nel 1889, fu Direttore generale del personale e del servizio militare. Viceammiraglio nel 1895, ebbe l’incarico di comandante in capo, in successione dei Dipartimenti militari marittimi di Taranto, di Venezia e di Spezia. Il 2 aprile 1900 fu nominato Capo di Stato Maggiore della Marina, carica che tenne fino al 30 giugno 1902, quando riassunse il comando del Dipartimento di Spezia e poi di quello di Venezia. Tra le sue cariche da ricordare quella di Ufficiale d’Ordinanza di S.A.R. Oddone di Savoia duca di Monferrato (1862 – 1866) e quella di Aiutante Generale del Re Umberto I (1892 – 1896). Nel 1904 fu nominato Senatore del regno e nel 1906 venne collocato nella Riserva navale.
Onorificenze
Italiane
Cavaliere dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro
Ufficiale dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro
Commendatore dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro
Grande Ufficiale dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro decorato di Gran Cordone
Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia
Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia
Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia
Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia decorato di Gran Cordone Straniere
Commendatore dell’Ordine reale di Alberto di Sassonia
Grande Ufficiale dell’Ordine al merito di San Michele (Baviera) Militari
Medaglia d’argento al valor militare
Medaglia commemorativa delle campagne d’Africa
Croce d’oro per anzianità di servizio
Medaglia mauriziana al merito militare di dieci lustri
Médaille commémorative de la campagne d’Italie
Medaglia commemorativa delle campagne delle guerre d’indipendenza
Medaglia commemorativa dell’Unità d’Italia
Arc. 1041: S.A.R. Oddone Eugenio Maria di Savoia Duca del Monferrato e la sua casa militare. Fotografia CDV. Fotografo: C. Molino – Genova. 1865 ca.
PRINCIPE EUGENIO DI SAVOIA – CARIGNANO
Arc. 385: Eugenio Emanuele Giuseppe Maria Paolo Francesco Antonio di Savoia-Villafranca-Soissons (Parigi, 14 aprile 1816 – Torino, 15 dicembre 1888). Figlio di Giuseppe Maria e di Pauline de Quelen de Vauguyon, era cugino di Carlo Alberto di Savoia, il quale a posteriori rese legittime le nozze morganatiche dei suoi genitori. Dopo essere stato allievo nella Regia Scuola Militare di Marina di Genova incominciò la proprio carriera nella neonata marina sabauda divenendo, dopo alcuni anni di crociere, nel luglio 1834 luogotenente di vascello, il 17 maggio 1834 passò nell’Esercito come capitano nel Reggimento «Novara Cavalleria». Con gli anni scalò i gradi di ambedue le armi: Colonnello nel 1836 a capo del Reggimento «Piemonte Reale Cavalleria», Capitano di vascello l’anno successivo, Maggiore Generale di cavalleria nel 1841 e Contrammiraglio nel 1842. Nel 1844 divenne luogotenente generale e comandante generale della Marina sarda, a capo della quale rimase fino al 1851, congedandosi con il grado onorario di Ammiraglio. Fu insignito del titolo di principe di Savoia-Carignano con decreto reale del 22 aprile 1834. Nel febbraio 1842 su mediazione dell’ambasciatore sardo a Vienna, Vittorio Balbo Bertone conte di Sambuy, per interessamento del principe di Metternich, il principe Eugenio, con l’assenso del re Carlo Alberto, tratta con emissari dell’Impero del Brasile, il matrimonio con la principessa ereditaria Gennara di Braganza; impossibilitati a trovare un accordo per divergenze su alcune clausole prematrimoniali il tentativo non va a buon fine. Il mancato matrimonio vedrà il forte disappunto del principe di Metternich, che temeva, da politico, che eventuali nozze della principessa con altri pretendenti potesse generare un’alleanza con qualche principe germanico o con qualche figlio dell’Infante Don Francisco da Paola di Spagna, a tutto discapito dell’Austria. Nel 1843 stringe un forte legame sentimentale con Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, sorella maggiore di Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena; nel settembre dello stesso anno re Carlo Alberto, approvando la scelta, chiede ufficialmente la mano della ragazza all’Imperatore d’Austria. Il principe Eugenio in vista delle nozze incomincia a predisporre le dimore, ottenendo in appannaggio Palazzo Carignano e la villa di campagna Vigna della Regina; su quest’ultima residenza, in pessime condizioni, che obbligherebbero a un dispendioso restauro, incomincia una trattativa con re Carlo Alberto, per avere in cambio la villa di Stupinigi. A inizio dicembre il conte di Sambuy consegna al principe Cancelliere d’Austria il progetto di contratto di matrimonio; le condizioni di salute della principessa Maria Carolina si fanno tuttavia sempre più serie e a gennaio del 1844 muore. La perdita della futura sposa getta nel più totale sconforto il principe Eugenio, che da allora non vorrà più unirsi con nessun’altra principessa, rifiutando ogni proposta che gli sarà fatta anche di fronte al giustificato motivo di risolvere un qualche problema politico. Per i suoi stretti legami con la Casa Reale fu il parente designato dai sovrani come Luogotenente Generale del Regno quando questi proclamarono la guerra e andarono al fronte: nel marzo 1848 alla proclamazione della prima guerra di indipendenza con Carlo Alberto, nel 1849, nel 1859 e nel 1866, con Vittorio Emanuele II di Savoia. Ebbe uguale compito nel 1860 e 1861 durante la transizione dell’ex Granducato di Toscana e del Regno delle Due Sicilie verso il neo-costituito Regno d’Italia. Prese parte all’assedio di Gaeta contro Francesco II delle Due Sicilie, dove si meritò la medaglia d’oro al valore militare con regio decreto 13 aprile 1861 “per essersi distinto quale luogotenente generale di S. M. il Re nelle province meridionali, Gaeta 1861.” Fu il primo presidente del Consorzio nazionale per l’ammortamento del debito pubblico, costituito nel 1866. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata
Cavaliere di gran croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Cavaliere di gran croce dell’Ordine militare di Savoia 26 ottobre 1871
Medaglia d’Oro al Valor Militare «Per essersi distinto quale luogotenente generale di S.M. il Re nelle province meridionali, Gaeta 1861.»
13 aprile 1861
Medaglia mauriziana al merito militare di dieci lustri
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro (Spagna) «durante il breve regno spagnolo di Amedeo I, già Duca d’Aosta»
Arc. 860: Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Carignano Conte di Villafranca in gran montura da Ammiraglio. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
Arc. 2429: Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Carignano Conte di Villafranca in uniforme da Generale Comandante della Guardia Nazionale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Milano. 1860 ca.
Arc. 782: Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Carignano Conte di Villafranca in gran montura da Ammiraglio. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Milano.
Arc. 2205: Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Carignano Conte di Villafranca in uniforme da Generale della Guardia Nazionale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Società fotografica Bolognese – Bologna. 1868 ca.
Arc. 1040: Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Carignano Conte di Villafranca. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino. 1870 ca.
TOMMASO DI SAVOIA DUCA DI GENOVA
Arc. 2428: Tommaso Alberto Vittorio di Savoia-Genova (Torino, 6 febbraio 1854 – Torino, 15 aprile 1931). Tommaso di Savoia-Genova nacque nel Palazzo Chiablese di Torino il 6 febbraio 1854, figlio di Ferdinando di Savoia-Genova e di Elisabetta di Sassonia. Era fratello minore di Margherita di Savoia, futura regina d’Italia. Orfano di padre a solo un anno e succedutogli nel titolo di duca di Genova, Tommaso venne posto sotto la tutela dello zio Vittorio Emanuele II, che ne seguì l’educazione mandandolo alla Harrow School di Londra. Dedito alla vita sportiva, dal 31 marzo 1879 al 20 settembre 1881, con il grado di capitano di fregata, poi promosso capitano di vascello durante la traversata, fece il giro del mondo al comando della corvetta Vettor Pisani, nave da guerra italiana alla sua terza campagna oceanica. Il 15 aprile 1883 sposò, presso il castello di Nymphenburg a Monaco di Baviera, Isabella di Baviera (1863-1924). Nel 1915, all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, Vittorio Emanuele III decise si trasferirsi da Roma al fronte, affidando parte delle sue funzioni regali a Tommaso e nominandolo Luogotenente Generale del Regno. La carica, però, fu quasi esclusivamente onorifica e non comportò un effettivo esercizio del potere. Tuttavia, in quel periodo, i regi decreti furono chiamati decreti luogotenenziali e portavano, anziché la firma del re, quella del principe Tommaso. Il luogotenente fu anche chiamato ad affrontare direttamente l’emergenza causata nell’Italia centrale dal terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915. Tommaso morì a Torino nel 1931. Riposa nella cripta reale della basilica di Superga, sulle alture del capoluogo piemontese. Nel titolo ducale gli succedette il figlio primogenito Ferdinando. Fotografia CDV. Fotografo: E. Di Chanaz – Torino. 1860 ca.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata 1872
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro 1872
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia 1872
Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro (Regno di Spagna) 1888
Cavaliere dell’Ordine di San’Uberto
Cavaliere dell’Ordine della Corona Ferrea Onorificenze straniere
Cavaliere dell’Ordine dell’Aquila Nera
Cavaliere dell’Ordine dei Serafini
Cavaliere dell’Ordine di Sant’Andrea
Collare dell’Ordine di Carlo III 1902
Balì di Gran Croce d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di Malta
Balì di Giustizia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio
Arc. 2149: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino. 1864 ca.
Arc. 947: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Allievo della scuola di Artiglieria in gran montura. Fotografia formato gabinetto 10,9 x 16,5. Fotografo: H. Le Lieure – Torino.
Arc. 652: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Allievo della scuola di Artiglieria in gran montura. Fotografia formato gabinetto 10,9 x 16,5. Fotografo: H. Le Lieure – Torino. 1870 ca.
Arc. 2885: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Allievo della scuola di Artiglieria in gran montura. Fotografia formato gabinetto. Fotografo: Le Lieure – Torino
Arc. 387: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Allievo della scuola di Artiglieria in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Torino. 1870 ca.
Arc. 1042: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Tenente di Vascello in gran montura. Fotografia formato gabinetto 9 x 14. Fotografo: Montabone – Torino. 1880 ca.
Arc. 2424: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Capitano di Vascello in gran montura. Fotografia formato gabinetto 9,8 x 14. Fotografo: Sconosciuto. 1885 ca.
Arc. 661: S.A.R. Tomaso di Savoia – Genova Duca di Genova in uniforme da Ammiraglio in gran montura Luogotenente Generale del Re. Fotografia cartolina. Fotografo: Sconosciuto. 1915 ca.
ISABELLA DI BAVIERA DUCHESSA DI GENOVA
Arc. 748: Isabella di Baviera (Monaco di Baviera, 31 agosto 1863 – Roma, 26 febbraio 1924). Nata nel 1863 a Nymphenburg, Isabella di Baviera era figlia del principe di Baviera Adalberto e di Amalia Filippina di Borbone-Spagna. Il padre di Isabella, Adalberto, era il quarto figlio di Ludovico I di Baviera e di Teresa di Sassonia-Hildburghausen. Sua madre Amalia era figlia di Francesco di Paola, infante di Spagna e fratello minore di Ferdinando VII di Spagna, ed era sorella di Francesco, duca di Cadice e consorte della figlia di Ferdinando VII, Isabella II di Spagna. Sposò a Nymphenburg, il 14 aprile 1883, Tommaso di Savoia, secondo duca di Genova (1854-1931), figlio di Ferdinando di Savoia-Genova, e di Elisabetta di Sassonia. Nel 1905 Isabella e suo marito, così come altri membri della Casa Savoia, parteciparono a una cerimonia in occasione della beatificazione di un sacerdote francese. Vi partecipò anche papa Pio X, insieme con 1.000 pellegrini francesi e diverse migliaia di fedeli di altre nazionalità, oltre a 22 cardinali e alla corte papale. L’evento fu notevole, perché era la prima volta nella quale membri di Casa Savoia assistevano ad una funzione religiosa alla presenza del Papa. Come duca e duchessa di Genova, Isabella e suo marito assolsero spesso altre funzioni in qualità di rappresentanti di Casa Savoia. Per esempio, nel 1911 parteciparono alla inaugurazione di un grande monumento a Vittorio Emanuele II a Roma. L’evento richiamò quasi un milione di persone e vi parteciparono anche le regine vedove Maria Pia di Portogallo, Margherita d’Italia e il duca e la duchessa di Aosta. Isabella morì a Roma nel 1924. Per il suo funerale fu utilizzata per l’ultima volta la carrozza detta “l’Egiziana”, del 1819, di proprietà di Casa Savoia e ora conservata al museo delle carrozze del Quirinale a Roma. Suo marito morì sette anni dopo, nel 1931. Fotografia formato 14 x 9,1. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Onorificenze bavaresi
Dama dell’Ordine di Sant’Elisabetta
Dama dell’Ordine di Teresa Onorificenze straniere
Dama nobile dell’Ordine della regina Maria Luisa (Regno di Spagna)
Dama di gran croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (Regno d’Italia)
Dama di gran croce d’onore e devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta
VITTORIO EMANUELE III RE D’ITALIA
Arc. 3037: Vittorio Emanuele III principe di Napoli nella culla con la proprio nutrice. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1869.
Arc. 2725: Vittorio Emanuele III principe di Napoli (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia); (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1870 ca.
Arc. 543: Vittorio Emanuele III principe di Napoli (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia); (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia formato gabinetto. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 3091: Vittorio Emanuele III principe di Napoli (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia); (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia formato gabinetto. Fotografo: F.lli Lovazzano – Torino.
Arc. G2: Vittorio Emanuele III principe di Napoli (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia) in grande uniforme da Allievo del Collegio Militare di Firenze; (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia formato 21,5 x 13,3. Fotografo: Montabone – Firenze.
Arc. 618: Vittorio Emanuele III principe di Napoli (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia) in uniforme da Capitano di Fanteria; (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia formato gabinetto 11 x 16,5. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1043: Vittorio Emanuele III principe di Napoli in gran montura da Colonnello comandante il 1° Reggimento Fanteria (nato Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia); (Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947). Fotografia formato gabinetto 11 x 16,2. Fotografo: Sconosciuto. 1890 ca.
Arc. 1208: Vittorio Emanuele III principe di Napoli in grande uniforme da Tenente Generale mod. 30/05/1877 – 14/02/1907. Fotografia formato cartolina. Fotografo: Sconosciuto. 1900 ca.
Arc. 740: Vittorio Emanuele III principe di Napoli in grande uniforme da Tenente Generale mod. 30/05/1877 – 14/02/1907 e Elena del Montenegro (Cettigne, 8 gennaio 1873 – Montpellier, 28 novembre 1952). Fotografia formato gabinetto. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1751: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in grande uniforme da Generale d’Esercito mod. 30/05/1877 – 14/02/1907. Fotografia formato Margherita 8 x 12,3. Fotografo: Sconosciuto. Al fondo dedica e firma autografa ” Agli Ufficiali dell’88° Reggimento Fanteria. Vittorio Emanuele – 1901″.
Arc. 1753: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in uniforme ordinaria da Generale d’Esercito mod. 25/12/1902. Fotografia formato cartolina 8,8 x 14. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2611: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in uniforme ordinaria da Generale d’Esercito mod. 25/12/1902. Fotografia formato 9,2 x 14,8. Fotografo: Sconosciuto. Al retro ” Corriere della sera 1908″.
Arc. 738: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in grande uniforme da Generale d’Esercito mod. 14/02/1907. Fotografia formato cartolina 8,7 x 13,8. Fotografo: Sconosciuto. Datata 1915.
Arc. G: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in uniforme ordinaria da Generale d’Armata mod. 4 novembre 1818 – 3 marzo 1923. Fotografia formato 23,8 x 17,3. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1883: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in alta uniforme da Generale d’Esercito mod. 19 settembre 1926 – 14 novembre 1933. Fotografia formato 13,.4 x 8,3. fotografo: Bettini – Roma.
Arc. 739: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in uniforme ordinaria da Maresciallo dell’Impero. Fotografia formato 15 x 10,5. Fotografo: Buzzetti – Milano.
Arc. 2828: Vittorio Emanuele III Re d’Italia in uniforme da campagna da Generale d’Esercito e Benito Mussolini. Fotografia formato 18 x 13. Fotografo: Sconosciuto.
ELENA DEL MONTENEGRO
Arc. 2422: Elena del Montenegro, nata Jelena Petrović-Njegoš principessa del Montenegro (Cettigne, 8 gennaio 1873 – Montpellier, 28 novembre 1952). Nacque a Cettigne, all’epoca capitale del Principato del Montenegro. Figlia del futuro re del Montenegro Nicola I (Nikola Mirkov Petrović Njegoš), fu educata ai valori e all’unione della famiglia; la conversazione a tavola si svolgeva in francese e si discuteva con eguale disinvoltura di politica e di poesia; le abitudini e le relazioni nella famiglia Petrović-Njegoš erano accurate ma non soffocavano la spontaneità dei caratteri e delle personalità. Elena crebbe schiva e riservata ma anche piuttosto caparbia, molti ricordavano che era ben difficile farle cambiare idea. Molto attaccata alle tradizioni, di animo sensibile e una mente vivace e curiosa, era dotata di un forte amore per la natura: il suo fiore preferito era il ciclamino. Studiò nel collegio Smol’nyj di San Pietroburgo, frequentò la casa reale russa e collaborò con la rivista letteraria russa Nedelja pubblicando poesie. Era una donna dal fisico a dir poco imponente: era alta circa 190 cm, per un peso di 75 kg. Già in tenera età, era parecchio corpulenta rispetto ai coetanei, con un fisico longilineo ma allo stesso tempo massiccio. Per questo era soprannominata in Italia “la gigantessa slava”. In Italia, nel frattempo, la regina Margherita si preoccupava per le sorti dell’unico figlio, futuro re e, in accordo con Francesco Crispi, di origini albanesi e desideroso di una maggiore influenza dell’Italia nei Balcani, combinarono l’incontro tra i due giovani che avvenne al teatro La Fenice di Venezia in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte. La scelta può essere vista come il tentativo di arginare gli effetti delle nozze fra consanguinei che affliggevano grande parte della nobiltà europea dell’epoca, favorendo il diffondersi di difetti genetici e di malattie come l’emofilia. Vittorio Emanuele III, figlio di cugini primi, non avrebbe potuto generare un erede sano con una sposa troppo vicina a lui per albero genealogico. Grazie al matrimonio con Elena, invece, ebbe come erede Umberto II, niente affatto simile al padre per quanto riguardava statura (il padre: 153 cm) e salute. Dopo un altro incontro in Russia, in occasione dell’incoronazione dello Zar Nicola II, Vittorio Emanuele formulò la richiesta ufficiale al padre di Elena, Nicola I. Il fidanzamento venne ufficializzato nel 1896. Essendo di religione ortodossa, Elena, per motivi di opportunità politica e per assecondare la regina Margherita madre di Vittorio Emanuele, lasciò il Montenegro ed il 21 ottobre 1896 con Vittorio Emanuele sbarcarono a Bari, dove nella basilica di S. Nicola, prima del matrimonio abiurò il credo ortodosso e si convertì alla fede cattolica, anche se il padre Nicola di Montenegro avrebbe preferito che la conversione fosse proclamata dopo il matrimonio. Il matrimonio fu celebrato il 24 ottobre 1896: la cerimonia civile si tenne al Quirinale, quella religiosa nella Basilica romana Santa Maria degli Angeli alla quale la madre di Elena non partecipò perché ortodossa osservante. Elena indossava in capo un velo intessuto di fili d’argento che disegnavano migliaia di margherite. Il corteo era composto da sei berline di gran gala, alcune