Arc. 1750:Generale Giuseppe Garibaldi in visita agli scavi di Pompei. Con il Generale sono riconoscibili: Jessie White Mario, il marito Alberto, il Generale Turr, il Maggior Generale Assanti, Menotti Garibaldi, il Generale Missori e altri ufficiali dello Stato Maggiore. Fotografia stereoscopica. Fotografo: G. Sommer – Napoli. Datata 1862.
Arc. 398:Nino Bixio, all’anagrafe Gerolamo Bixio in gran montura da Generale dell’Esercito Meridionale (Genova, 2 ottobre 1821 – Banda Aceh, 16 dicembre 1873). Ottavo e ultimo figlio di Colomba Caffarelli e di Tommaso, direttore della Zecca di Genova, a nove anni rimase orfano della madre. Il suo carattere particolarmente ribelle e la reciproca insofferenza con la matrigna Maria, della quale il padre era succube, furono tra le principali cause dei difficili rapporti con la famiglia. Espulso più volte dalla scuola, a 13 anni fu imbarcato come mozzo a bordo del brigantino Oreste e Pilade che salpava per le Americhe, dove per la sua giovane età gli venne affibbiato il nomignolo di “Nino”, che lo accompagnerà per tutta la vita. Visto il suo immutato carattere indocile, la matrigna pensò di servirsene per surrogare nel servizio militare in marina il fratello Giuseppe, che aveva buone possibilità di entrare nell’ordine dei gesuiti, come poi avvenne. Nino si oppose e fu dai genitori denunciato come ribelle all’autorità paterna e fatto arrestare con uno stratagemma. Dopo molte settimane di carcere, nel novembre 1837, si rassegnò ad arruolarsi “volontario” nella marina del Regno di Sardegna, come surrogante del fratello. Imbarcato sull’avviso a ruote Aquila, fu preso a ben volere dal capitano Millelire, che gli consentì di studiare e formarsi per la carriera nella marina militare. Nel 1841 fu allievo pilota a bordo della nave Gulnara e tre anni dopo, inaspettatamente, Nino fu a sua volta surrogato da altro marinaio che, dichiarandosi suo “volontario surrogante”, si arruolò restituendogli la libertà. Durante il servizio nella regia marina sarda, Nino aveva accumulato molte esperienze, navigando su legni di vario tipo, sulle rotte dei vicini mari come dell’oceano Atlantico. Non ebbe quindi difficoltà a trovare nuovo ingaggio in mare, imbarcandosi come capitano in seconda su un bastimento mercantile diretto in Brasile. Al porto di Rio de Janeiro, però, gli fu comunicato che l’armatore aveva ceduta la nave ad altra società che l’avrebbe utilizzata per il trasporto degli schiavi dall’Africa, offrendogli il comando. Bixio rifiutò e scese a terra con tre compagni italiani, ben sapendo che quel diniego, nonostante il nobile motivo, avrebbe troncata sul nascere la sua carriera di capitano mercantile. Nuovamente a Genova, con gli amici Parodi e Tini fu ingaggiato come secondo nostromo sul bastimento guidato dal capitano quacchero Baxter e diretto nei mari della Malesia per raccogliere un carico di pepe da portare negli Stati Uniti d’America. Un viaggio molto avventuroso per innumerevoli episodi, che cominciarono con l’abbandono della nave di Bixio e dei due compagni a bordo di una scialuppa, per un furibondo litigio con il comandante. La scialuppa naufragò sugli scogli e nel tentativo di raggiungere a nuoto la terraferma, i tre furono attaccati dagli squali. Parodi fu sbranato, mentre Tini impazzì per lo spavento. Catturati dagli indigeni, Bixio rifiutò di convolare a nozze con la regina di quella popolazione e i due furono ceduti a dei mercanti di schiavi. Fortunatamente furono acquistati dallo stesso capitano Baxter che dopo averli riscattati li riprese a bordo, sbarcandoli nel porto di Salem, da dove raggiunsero Anversa, nell’ottobre 1846. Bixio imbarcò l’amico per Genova e, gravemente percorso da febbri, raggiunse il fratello Alessandro a Parigi. I due si incontravano per la prima volta. Rimase ospite del fratello nei mesi di convalescenza, durante i quali conobbe Giuseppe Mazzini che ebbe su Nino una grande influenza politica nell’iniziarlo all’idea di un’Italia unita e repubblicana, conquistandolo alla causa della Giovine Italia, l’associazione mazziniana che auspicava l’unione e l’indipendenza di tutti gli stati d’Italia. Mazzini, esule in Francia, era protetto da Alessandro Bixio, data la grande amicizia che aveva unito le loro madri. Al suo ritorno in Patria, Nino Bixio partecipò attivamente ai fervori che precedettero la Primavera dei popoli. La sera del 4 novembre 1847, durante una manifestazione in piazza Carlo Felice a Torino, fermò il cavallo di Carlo Alberto di Savoia afferrandolo per le briglie e gli disse: «Sire, passate il Ticino e siamo tutti con voi». Nel 1848 partecipò alla prima guerra di indipendenza, combattendo a Governolo, a Verona e a Treviso. Poi raggiunse Roma, al seguito di Giuseppe Garibaldi, dove tentò invano di difendere la neonata Repubblica Romanadall’attacco restauratore dei francesi. Condusse a termine varie azioni dimostrando una determinazione e un’audacia che rasentavano la temerarietà. Il 3 giugno 1849, respingendo l’assalto francese, si distinse guidando personalmente diversi contrattacchi alla baionetta. Per due volte i colpi francesi gli uccisero la cavalcatura e infine fu ferito in modo serio. La sua condotta gli valse una medaglia d’oro decretata dalla Repubblica Romana ed ebbe il personale elogio di Garibaldi che lo promosse sul campo al grado di maggiore. Venne sommariamente curato da Pietro Ripari e Agostino Bertani, riuscendo poi a raggiungere Genova, dove finalmente fu possibile estrarre la pallottola, rimasta conficcata nel fianco sinistro. Contro ogni previsione, venne accolto e amorevolmente curato dalla matrigna. La sua ultima azione da carbonaro della Giovane Italia fu, nel 1852, il tentativo di rapire l’imperatore Francesco Giuseppe, nel corso della sua visita a Venezia e Milano, sventato dalla polizia austriaca. Durante la seconda guerra di indipendenza fu nuovamente al fianco di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi, combattendo a Malnate nella battaglia di Varese e poi difendendo strenuamente il passo dello Stelvio, tanto da essere insignito della Croce Militare di Savoia. L’anno successivo fu tra gli organizzatori della spedizione dei Mille alla conquista del Sud Italia. Data la sua esperienza marinara, fu Bixio a impadronirsi (tramite un furto, in realtà segretamente concordato con gli armatori Rubattino) delle navi Piemonte e Lombardo, quest’ultima da lui comandata nel viaggio da Quarto a Marsala.Prese parte alla battaglia di Calatafimi comandando la 1ª Compagnia e successivamente all’insurrezione di Palermo, guidando l’assalto al ponte dell’Ammiraglio. Nei combattimenti riportò una ferita alla clavicola causata da una palla vagante. Dopo una breve convalescenza, fu incaricato di guidare la 1ª Brigata della Divisione Turr verso Corleone e Girgenti, trovandosi a espletare incarichi di polizia militare, su disposizioni di Garibaldi che temeva altri eccidi come quello accaduto a Partinico. Dopo la battaglia di Calatafimi Bixio si avvide di un abitante locale che infieriva sui cadaveri dei soldati borbonici caduti, gridando “Uccidete l’infame!” Bixio con la sciabola sguainata e spronando il cavallo si slanciò verso il soggetto, che però riuscì a scappare, questo fatto dimostra come Bixio, pur avendo un carattere duro, sapeva però essere leale e rispettoso verso il nemico sconfitto. Intervenne con decisione a Santa Croce Camerina, dove erano stati trucidati i marinai di un bastimento svedese e a Bronte per fermare la celebre rivolta: erano stati saccheggiati diversi edifici e trucidati sedici uomini. Per ristabilire l’ordine, Garibaldi vi inviò il fidato generale Bixio, che applicò lo stato d’assedio e pesanti sanzioni economiche alla popolazione. Costituito un tribunale di guerra, in poche ore vennero giudicate circa 150 persone e di queste 5 furono condannate all’esecuzione capitale. Promosso Maggiore Generale con decreto del 15 agosto 1860, gli venne affidato il comando della 15ª Divisione, con la quale sbarcò a Melito di Porto Salvo e, nella notte del 21 agosto, prese d’assalto la città di Reggio Calabria, conquistandola nella battaglia di Piazza Duomo. Durante i combattimenti il suo cavallo fu abbattuto da 19 pallottole, mentre Bixio se la cavò con una ferita al braccio sinistro. Il 2 ottobre dello stesso anno 1860 i garibaldini sconfissero definitivamente il grosso delle truppe borboniche nella battaglia del Volturno, in cui il genovese si ruppe una gamba. Poco dopo il famoso incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, passato alla storia come Incontro di Teano, Bixio organizzò i plebisciti che sancirono l’annessione dell’Italia centro-meridionale al Regno di Sardegna. Un anno dopo venne eletto deputato nel collegio di Genova II e sedette tra le file della Destra storica. Alle elezioni politiche italiane del 1861 si presentò candidato nel 2º collegio di Genova, risultando eletto deputato. Fu più volte rieletto. Bixio tornò nel campo di battaglia nell’estate 1866 tra le file del Regio esercito come generale comandante della 7ª Divisione alla battaglia di Custoza nel corso della Terza guerra d’indipendenza. Il 3 novembre 1867 nella battaglia di Mentana Bixio fu fatto prigioniero da un battaglione francese, ma riuscì a fuggire e ricevette dal re Vittorio Emanuele II di Savoia una medaglia d’oro al valor militare. Fatto senatore il 6 febbraio del 1870, nello stesso anno partecipò alla Presa di Roma. La sua divisione fu incaricata di espugnare la cittadella fortificata di Civitavecchia che capitolò con pochi scontri, dopo un ultimatum in perfetto “stile Bixio”:
«Ho dodicimila uomini di terra, dieci corazzate, cento cannoni sul mare. Per la resa non accordo un minuto di più di ventiquattro ore altrimenti domani mattina si chiederà dove fu Civitavecchia.»
(Nino Bixio, ultimatum alla fortezza di Civitavecchia, 15 settembre 1870)
Alle ore 7 del 16 settembre la corazzata Terribile faceva il suo ingresso in porto e alle 10 alcuni battaglioni dell’esercito italiano entravano in città, prendendone possesso. Il 20 settembre con la sua divisione entrò a Roma da porta San Pancrazio. Successivamente Bixio riprese il mare, iniziando con Salvatore Calvino un’impresa di navigazione per il collegamento commerciale dell’Italia con l’Estremo Oriente. Durante una traversata si ammalò di colera e morì il 16 dicembre 1873 a Banda Aceh, nell’isola di Sumatra, dove fu provvisoriamente seppellito in attesa di poter traslare la salma in Patria. La tomba di Bixio venne presto profanata e saccheggiata da tre indigeni, due dei quali vennero contagiati dal colera e ne morirono. Tre anni dopo, grazie alle indicazioni del terzo sopravvissuto, fu possibile rintracciare i resti di Bixio che vennero cremati a cura del Consolato italiano di Singapore. Le ceneri dell’eroe furono portate a Genova nel 1877 e inumate all’interno del Pantheon nel Cimitero di Staglieno. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia
Grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
6 dicembre 1866
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
12 giugno 1861
Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia
12 luglio 1859
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza (4 barrette)
Arc. 752: Nino Bixio, all’anagrafe Gerolamo Bixio (Genova, 2 ottobre 1821 – Banda Aceh, 16 dicembre 1873). Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1870:Giacomo Medici, marchese del Vascello, in piccola montura da Generale dell’Esercito Meridionale (Milano, 15 gennaio 1817 – Roma, 9 marzo 1882). Giacomo Medici nacque a Milano, città dove crebbe e dove visse fino all’esilio in Portogallo, che cominciò nel 1836. Qui combatté contro i Carlisti a Porto per quattro anni, assieme al padre emigrato con lui. Trasferitosi a Londra nel 1840, prese contatto col neonato movimento della Giovine Italia, e nella capitale del Regno Unito conobbe Giuseppe Mazzini. L’eco dei moti rivoluzionari in America Latina lo portò in Uruguay, dove conobbe Garibaldi a Montevideo nel 1846. Quando giunsero notizie delle riforme di Pio IX e di Carlo Alberto, Medici e Garibaldi fecero ritorno in Italia sulla nave Bifronte, ribattezzata Speranza. Nello stesso anno Medici suggerì a Garibaldi di recarsi a Milano, per offrire i suoi servigi al Governo provvisorio di Lombardia, che di fatto rimpiazzava l’amministrazione austriaca: i due giunsero a Milano il 14 luglio. Nei giorni seguenti organizzarono, nella caserma di San Francesco, il “Battaglione Anzani” composto di volontari, al comando dello stesso Medici. Egli fu col Garibaldi lungo l’intera campagna dei volontari in Lombardia, nel corso della guerra. Nel 1849 Medici giunse a Roma con Giuseppe Garibaldi, alla guida della cosiddetta “Legione Medici”, composta da circa trecento lombardi, studenti o cadetti di famiglie nobili e benestanti. Quando, il 29 giugno, i Francesi del maresciallo Nicolas Charles Oudinot attaccarono le posizioni fuori dalle mura di Roma, occupando Villa Corsini, il Casino dei Quattro Venti e Villa Pamphili, Medici riuscì a resistere solo all’avamposto del Vascello, presso porta San Pancrazio. Il Governo dello Repubblica Romana gli assegnò la medaglia d’oro al valore militare: un onore spartito con Garibaldi, Luciano Manara (per la difesa di Villa Spada) e Giacinto Bruzzesi (per la difesa dei Monti Parioli). Nel 1859 Medici fu coinvolto, sin dall’inizio, nell’organizzazione dei Cacciatori della Stura: il 20 marzo venne promosso tenente colonnello, gli venne affidato il comando dei due depositi costituiti a Savigliano il 29 marzo e il 7 aprile, e fu messo a capo del secondo dei due primi reggimenti dei Cacciatori delle Alpi, in linea già dal 24 aprile. Durante la Seconda guerra di indipendenza, Giacomo Medici si distinse nella battaglia di Varese, partecipò alla battaglia di San Fermo e guidò l’avanguardia nelle operazioni di Valtellina alla liberazione di Bormio. Il 4 maggio 1860 fu Medici a stipulare, a Torino e alla presenza del notaio Gioachino Vincenzo Baldioli, il contratto con il quale Raffaele Rubattino cedeva i due vapori Piemonte e Lombardo, coi quali venne compiuta la spedizione dei Mille. Nella notte tra l’8 ed il 9 giugno partì l’avanguardia della Spedizione Medici, il gruppo Corte costituito dalle navi Utile, con circa 60 volontari e Charles and Jane, con circa 900 volontari, questa avanguardia fu però intercettata dalla nave borbonica Fulminante, che condusse le due navi a Gaeta, dove i volontari furono internati, successivamente rilasciati torneranno in Sicilia il 15 luglio con la nave Amazon.Il gruppo principale delle Spedizione Medici, con altri 2.500 volontari, partì nella notte tra il 9 e 10 giugno, con tre navi che salparono, due da Genova ed una da Livorno, le navi erano state acquistate da una compagnia francese nominalmente da parte di un certo De Rohan, un cittadino statunitense sostenitore della causa italiana e successivamente ribattezzate Washington (nave del Medici), Oregon (nave di Caldesi) e Franklin (nave di Malenchini da Livorno), quindi a Genova il console degli Stati Uniti, accompagnato da Peard, “l’inglese di Garibaldi” e suo “sosia”, salì a bordo del Washington ed issò la bandiera a stelle e strisce. Dopo la sosta nel porto di Cagliari, dove il Medici attese inutilmente l’arrivo delle altre due navi del gruppo Corte, il piccolo bastimento Utile e la nave Charles and Jane, catturate dalla Marina borbonica, le tre navi della Spedizione Medici si diressero verso la Sicilia, quando vennero affiancate dalla nave piemontese Gulnara, il cui capitano dichiarò di volerle scortare fino a Castellammare, come da accordi tra Cavour e Garibaldi. Su disposizione del Persano Il capitano del Gulnara si informò anche se fosse a bordo il Mazzini, che in tal caso doveva essere consegnato all’ufficiale piemontese. Nominato colonnello della I brigata della 16ª divisione dell’esercito meridionale entrò a Palermo il 21 giugno. A luglio combatté alla battaglia di Milazzo, costrinse Messina alla resa dopo un assedio di otto giorni e ne firmò la relativa convenzione, fu promosso maggior generale della 17ª divisione e fu presente alla battaglia del Volturno. Ammesso nel Regio Esercito, fu nominato comandante militare della piazza di Palermo, ove facilitò l’impresa garibaldina all’Aspromonte nel 1862 e si spinse a presentare una supplica al re e a Urbano Rattazzi affinché non fermassero i volontari, come invece avvenne nella giornata dell’Aspromonte. Sotto la prefettura palermitana dell’umbro Filippo Antonio Gualterio (che restò in carica tra il 1865 e il 1866) egli condusse una serie di operazioni militari nelle quattro province della Sicilia occidentale. La durissima repressione produsse in sei mesi l’arresto di 2384 uomini e 180 donne nella sola provincia di Palermo. Nel 1866, nel corso della Terza guerra di indipendenza, Medici comandò una colonna dell’Esercito Regio in una brillante avanzata da Padova, lungo la Valsugana, sino alle porte di Trento. Per i suoi meriti fu nominato Grande Ufficiale dell’Ordine Militare d’Italia. In seguito alla dura repressione operata dal generale Raffaele Cadorna della rivolta di Palermo del 1866, nel 1868 ritornò a Palermo come prefetto: era dotato di poteri insolitamente ampi e, soprattutto, della piena fiducia del re. Vi restò sino al 1873. Fu accusato di aver autorizzato accordi con la mafia, specie a causa della grande prossimità al questore Albanese, divenuto per la pubblica opinione un alleato della mafia al punto da essere fatto oggetto di mandato di cattura dal procuratore del Re, poi dimissionario, Diego Tajani. Tali accuse non sono mai stare dimostrate e forte resta il sospetto che siano state messe in atto in maniera strumentale, la sua specchiata onestà ed integrità è in particolare documentata dal suo biografo Capitano Giovanni Pasini.Nel corso del suo mandato, in collaborazione con il suo ex compagno della spedizione dei Mille Domenico Peranni, sindaco della città, Medici piuttosto diede impulso alle opere pubbliche, soprattutto alla rete viaria e ferroviaria, istruzione e pubblica sicurezza. Egli era infatti fermamente convinto che il progresso economico e sociale dell’isola fosse legato allo sviluppo delle infrastrutture; decise pertanto di assecondare le numerose richieste che riguardavano l’avanzamento delle strade, il miglioramento dei porti, lo sviluppo delle linee ferroviarie Palermo-Messina e Palermo-Trapani, minacciando più volte di dimettersi dalla carica di prefetto nel caso in cui non si fossero eseguiti a questi interventi. A Palermo conobbe e sposò la nobile inglese Lady Ingham, vedova del primo marito Lord Ingham-Whitaker (il cui nonno aveva inventato il Marsala) e proprietaria del palazzo più tardi trasformato nell’attuale Grand Hotel et Des Palmes, in Via Roma a Palermo. Fu eletto la prima volta deputato del Regno di Sardegna dall’agosto al dicembre 1860. Una seconda volta nel 1863 deputato del regno d’Italia fino al 1865, nel febbraio del 1866 venne candidato alla Camera al collegio di Messina, in contrapposizione a Giuseppe Mazzini, il quale era stato già eletto in regolare consultazione, annullata d’imperio dal Governo. Medici perse le elezioni, che andarono a favore di Mazzini. Fu eletto deputato una terza volta nel 1868 nel collegio di Bologna. Venne nominato senatore del Regno da Vittorio Emanuele II di Savoia il 2 giugno 1870 e, nel 1876, Marchese del Vascello e Primo Aiutante di Campo del Re. Fece parte della massoneria. Il nipote Giacomo Medici Del Vascello sarà deputato e sottosegretario alla presidenza del Governo Mussolini. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia
Grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
6 dicembre 1866
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
12 giugno 1861
Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
8 giugno 1859
Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Per i brillanti fatti d’armi di Primolano, Borgo e Levico il 22 e 23 luglio 1866.» 6 dicembre 1866
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Liberazione di Roma 1849-1870
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza (5 barrette)
Onorificenze straniere
Gran Croce dell’Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna)
Medaille Commémorative de la Campagne d’Italie de 1859 (Francia)
Arc. 2124:Giuseppe Missori in gran montura da Colonnello Comandante delle Guide a Cavallo (Mosca, 11 giugno 1829 – Milano, 25 marzo 1911). Nacque l’ 11 giugno 1829 a Mosca da genitori bolognesi e visse quasi sempre a Milano. Frequentò per censo e classe la mondanità milanese sino al 1848 quando abbandonò la vita brillante e gli agi per correre a combattere nelle formazioni dei “volontari lombardi”. Era un giovane di saldi principi repubblicani che considerava Mazzini il suo maestro e Garibaldi il suo eroe. Nel 1859 si arruolò nelle “Guide a Cavallo” di Garibaldi distinguendosi fino ad avere le “spalline” da ufficiale. L’anno seguente partì con la spedizione dei Mille al comando di 24 “Guide” che, prive di cavalli; costituivano tutta la cavalleria dell’armata garibaldina. A Marsala furono requisiti i cavalli che a Calatafimi presero per primi contatto con il nemico ed entrarono anche per primi a Palermo il 27 maggio. Il numero delle “Guide” era nel frattempo cresciuto ed il 20 luglio furono nuovamente impiegate a Milazzo. Durante questa battaglia, Missori diede prova di straordinario valore salvando la vita a Garibaldi. Il generale, rimasto isolato combatté contro un drappello di Cacciatori a cavallo borbonici: stava per essere sopraffatto quando intervenne coraggiosamente Missori che riuscì ad uccidere il cavallo ed il cavaliere che stavano per travolgere e decapitare a fendenti l’eroe dei due mondi. L’8 agosto a Missori fu commesso l’importante e delicato compito di varcare con 200 uomini lo Stretto di Messina per sorprendere il forte di Villa San Giovanni. Il tentativo non ebbe esito fortunato, ma poiché non era possibile né pensabile rivarcare lo Stretto, Missori con i suoi si diede alla montagna, correndo paesi e borgate dove proclamava la decadenza della dinastia borbonica. Insieme a Garibaldi entrò il 7 settembre a Napoli, combatté valorosamente al Volturno e fu presente allo storico incontro di Teano. Per il suo comportamento a Milazzo ricevette la medaglia d’oro al valor militare. Quando Giuseppe Garibaldi si ritirò a Caprera, Missori ritornò a Milano. Giuseppe Garibaldi voleva ripetere la gloriosa marcia dalla Sicilia verso nord per liberare Roma e Missori, ritornato al suo fianco fu incaricato di reclutare uomini a Reggio, Catanzaro e Cosenza, per infoltire le fila dei garibaldini che, avendo passato lo stretto si inoltravano nelle montagne calabresi. Dopo la malaugurata fine dell’esperienza tornò a Milano. Negli anni seguenti mantenne sempre la sua intesa con Garibaldi, promuovendo nel 1863 le agitazioni per l’aiuto ai polacchi insorti; attivandosi in tutte le polemiche e le lotte politiche che divamparono in quegli anni fra democratici e moderati. Nel 1864, al comando di due battaglioni raccolti a Terni, combatté a Monterotondo ed a Mentana. Fermo nelle sue convinzioni repubblicane, come altri garibaldini che non avevano delegato alla monarchia il compito di fare l’Italia, era amareggiato e deluso, non recriminava il passato, ne incolpava Garibaldi, come faceva Mazzini, di aver consegnato l’Italia al Re, ma si sentiva ormai fuori gioco. Aveva trascorso la vita sui campi di battaglia, combattendo per un ideale repubblicano che la monarchia, compromissoria, s’era affrettata a mettere in soffitta. Era pur sempre l’eroe della campagna di Sicilia, nello scontro di Milazzo aveva salvato la vita a Garibaldi, ma con modestia e signorilità si ritirò dalla vita bellica. Con dignità e modestia visse nella Sua Milano, accettò di essere consigliere comunale dal 1889 al 1894, fece parte della commissione Consultiva per il Civico Museo del Risorgimento dal 1883 al 1900 e fu Presidente di tale Commissione dal 1900 al 1905. Missori era un pezzo vivente di storia, frequentava la Scala ed il pubblico, quando egli compariva nel palchetto, si alzava e lo acclamava come non avrebbe neppure fatto per il Re o la Regina. Fu comunque sempre riservato e modesto, con modi d’animo gentili e signorili, non ostentando i suoi passati eroismi, anzi se qualcuno gliene chiedeva rispondeva “sciocchezze, sciocchezze”. Il 25 marzo 1911, nella sua casa dell’allora via Carlo Alberto n°32, si spense; poco prima di mancare si fece portare un ritratto di Garibaldi, lo fissò intensamente, lo baciò e quindi spirò. La città, attonita come il giorno in cui morì Verdi, si fermò; finiva un’epoca. Nel 1914 il comitato promotore per un monumento lanciò una sottoscrizione per la raccolta della somma necessaria ed in breve si raggiunse la cospicua cifra di £ 12.000. Il 7 maggio fu inaugurato il monumento opera dello scultore Ripamonti. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia
1866
Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Per essersi distinto durante la campagna dell’Italia meridionale, 1860.»
Arc. 753:Giuseppe Missori in gran montura da Colonnello Comandante delle Guide a Cavallo (Mosca, 11 giugno 1829 – Milano, 25 marzo 1911). Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1933:Giuseppe Missori (Mosca, 11 giugno 1829 – Milano, 25 marzo 1911). Fotografia CDV. Fotografo: E. Maza – Milano.
Arc. 991:István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr in piccola montura da Generale dell’Esercito Meridionale (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908). Nativo della città di Baja, nella provincia ungherese di Bács-Kiskun. Arruolato nell’esercito austriaco, divenne tenente in un reggimento di granatieri ungheresi, con il quale, nel 1848, partecipò alla prima fase della prima guerra di indipendenza. Nel gennaio 1849 passò nel Regno di Sardegna, ove divenne capitano della “Legione ungherese”, formata dai molti disertori dell’esercito imperiale. La vittoria finale del Radetzky a Novara, comportò l’abdicazione di Carlo Alberto e la caduta del governo cosiddetto “democratico”. La gran parte degli esuli italiani e stranieri lasciarono il Regno di Sardegna per raggiungere i luoghi ove ancora si combatteva: la gran parte verso Roma, Türr in Germania, nel Baden ancora in fermento. Nel 1854 passò al servizio nella Royal Army arruolandosi nella legione anglo-turca. Nel 1855, contando sulla protezione britannica, osò traversare la Valacchia asburgica e venne arrestato a Bucarest mentre stava acquistando dei cavalli. Le autorità austriache lo consideravano, naturalmente, un disertore ed intendevano eseguire la condanna a morte, ma venne salvato dall’intervento di Londra. Nel 1859 combatté in Italia come Colonnello dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, che lo tenne sempre in grande stima. L’anno successivo lo seguì alla spedizione dei Mille: fu promosso Tenente Generale dell’Esercito meridionale e venne gravemente ferito. Scelto da Garibaldi quale governatore di Napoli svolse un certo ruolo nella preparazione e nello svolgimento del plebiscito del 21 ottobre 1860. Nominato Tenente Generale dell’esercito sabaudo, fu collocato in aspettativa nel dicembre 1861 e un anno dopo fu nominato Aiutante di campo onorario di re Vittorio Emanuele II. Massone, fu membro della Loggia “Dante Alighieri” di Torino e Gran maestro del Grande Oriente Ungarico in esilio, di cui Luigi Kossuth fu Gran maestro onorario. Il 10 settembre 1861 sposò in Mantova Adelina Bonaparte Wyse. Un matrimonio di grande rango, considerato che la sposa era figlia di Thomas Wyse e di Letizia Bonaparte, e quindi nipote di Luciano Buonaparte, fratello di Napoleone I; Adelina era inoltre cugina del nuovo imperatore dei francesi, Napoleone III. A ciò si aggiunga che la sorella, Maria, sposava nel 1863 il 3 febbraio lo statista piemontese Urbano Rattazzi. Nel 1866, in connessione con la terza guerra di indipendenza e la campagna di Garibaldi nel Trentino, Türr ebbe incarico di preparare l’insurrezione dell’Ungheria, organizzata a partire dal territorio serbo. La sconfitta austriaca costrinse l’imperatore Francesco Giuseppe, a concedere una costituzione ed istituzioni liberali, nonché una rinnovata autonomia per l’antico Regno d’Ungheria. La rinnovata pattuizione venne ricordata come la parificazione (Ausgleich) fra Austria e Ungheria: il nome stesso dello Stato passò da “Impero austriaco” ad “Austria-Ungheria”. Nel rinnovato clima politico si aprì una nuova fase per i fuoriusciti, fra i quali lo stesso Türr, che assunse un non secondario ruolo politico, distinguendosi per la promozione della canalizzazione del Danubio ed il sostegno ad una nascente industria nazionale. Dal 1881 diresse i lavori per il completamento del canale di Corinto, sull’omonimo istmo. Nel 1888 ebbe la cittadinanza italiana. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Medaglia inglese della Guerra di Crimea (Regno Unito)
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
Campagna del 1860
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Combattimento di Tre Ponti 15 giugno 1859
Arc. 777:István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr in gran montura da Tenente Generale (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908). Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano.
Arc. 1056:István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr in montura festiva da Maggior Generale (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908). Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano.
Arc. 398:István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908). Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze.
Arc. 1951: Stefano Turr con la moglie Adelina Bonaparte Wyse. Il 10 settembre 1861 sposò in Mantova Adelina Bonaparte Wyse. Un matrimonio di grande rango, considerato che la sposa era figlia di Thomas Wyse e di Letizia Bonaparte, e quindi nipote di Luciano Buonaparte, fratello di Napoleone I; Adelina era inoltre cugina del nuovo imperatore dei francesi, Napoleone III. A ciò si aggiunga che la sorella, Maria, sposava nel 1863 il 3 febbraio lo statista piemontese Urbano Rattazzi. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torino.
Arc. 1917:István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908). Fotografia CDV. Fotografo: Duroni & Murer – Milano.
Arc. 779:Giacinto Carini in gran montura da Maggior Generale (Palermo, 20 maggio 1821 – Roma, 16 gennaio 1880). Nel 1848, non ancora ventisettenne, partecipò alla rivoluzione per l’indipendenza siciliana scoppiata il 12 gennaio: il Carini fu tra i componenti del Primo comitato. Venne nominato colonnello da Ruggero Settimo (capo del governo che si venne ad istituire provvisoriamente), che gli affidò il comando del I reggimento di cavalleria: il compito di Giacinto Carini era quello di ristabilire l’ordine a Burgio, nel circondario di Bivona (provincia di Girgenti), paese in preda ai tumulti e agli eccessi. Quando nel 1849 venne restaurato il regime borbonico, trovò rifugio a Parigi, mantenendo tuttavia un rapporto epistolare con amici e colleghi politici rimasti sul territorio siciliano. Durante la sua residenza in Francia, Carini ebbe modo di conoscere numerosi patrioti esuli, come Giuseppe la Farina, ed anche esponenti del mondo culturale francese, come Victor Hugo, e Alexandre Dumas, di cui rimane una lettera inviata a Carini in occasione della battaglia di Milazzo, e della spedizione dei Mille di Garibaldi in Sicilia. A causa dei nuovi contatti con esuli, andò cambiando le sue idee politiche, affacciandosi all’unitarismo. Protestò contro la ritrattazione in Sicilia dell’atto di decadenza della monarchia borbonica, e firmò una protesta contro il decreto del re di Napoli con il quale era stato imposto all’isola un debito di 20 milioni di ducati annullando il debito del ’48 causato dal governo rivoluzionario. Mentre in Italia prende campo la politica Cavouriana ed il progetto monarchico dell’unificazione, sotto la guida di Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II, Carini segue la politica del proprio paese, attraverso anche la pubblicazione di un periodico la cui stampa fu autorizzata dallo stesso Napoleone III. Visse a Parigi fino al 1859, anno in cui si arruolò nei Cacciatori delle Alpi combattendo nella seconda guerra d’indipendenza. Nel 1860, spinto dalla voglia di liberare la Sicilia dal dominio dei Borboni, si aggregò insieme ai Mille guidati da Giuseppe Garibaldi: salpò con essi da Quarto e combatté valorosamente nelle battaglie di Calatafimi, dove col grado di capitano comandava la 6ª Compagnia, e di Palermo, dove fu al comando di uno dei due battaglioni che attaccarono la città. Il 29 maggio 1860 venne gravemente ferito da una pallottola al braccio sinistro a Porta di Termini, mentre respingeva le forze di Von Mekel. Venne allora nominato da Garibaldi ispettore generale della cavalleria. Con l’annessione fu chiamato nel Consiglio di luogotenenza della Sicilia e comandante della Guardia nazionale di Palermo. Dopo l’unità d’Italia, entrò il 18 aprile 1862 nell’esercito regolare italiano, dove con il grado di Maggior Generale combatté nella terza guerra d’indipendenza. Fu eletto deputato al Parlamento per cinque legislature (dall’ottava alla tredicesima) con la Destra storica, rappresentando il collegio elettorale di Bivona, di Palermo, di Piacenza, di Sant’Arcangelo di Romagna e di Iesi dal 1861 al 1880. Promosso nel 1871 tenente generale, comandò dal 1871 al 1877 la divisione di Perugia. Dal 1878 fu messo in disponibilità dal ministro della guerra Mezzacapo, il quale secondo Carini voleva gradualmente allontanarlo dalle istituzioni in quanto siciliano e garibaldino. La ferita causata nel 1860 da una pallottola non poté più rimarginarsi, portando tormenti e dolori. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Roma. 1870 ca.
Onorificenze
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
30 giugno 1867
Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
12 giugno 1861 Combattimenti di Calatafimi e Palermo
Arc. 1790: Giacinto Carini (Palermo, 20 maggio 1821 – Roma, 16 gennaio 1880). Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2647: Giovanni Ferrari in piccola montura da Colonnello Comandante del 16° Reggimento Fanteria Brigata Savona mod. 1861 – 1867 (Brescia 8 giugno 1817 – ). Combattè come volontario nel 1848 sotto il Generale Durando e nel 1849 quale Capitano della Legione Manara. Maggiore nei Cacciatori delle Alpi nel Reggimento Cosenz nel 1859 partì con i Mille da quarto il 6 maggio 1860. Promosso Colonnello fu Capo di Stato Maggiore della Divisione Medici e Aiutante del Generale Garibaldi. Guadagnò durante la campagna la Medaglia d’Argento al Valor Militare e la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Passato nell’esercito regolare nel 1862, ebbe il comando del 16° Reggimento Fanteria e nel 1868 fu promosso Maggior Generale comandante la brigata Regina, carica che mantenne fino al 1871. Fotografia CDV. Fotografo: G. Trainini – Brescia.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia
1860
Medaglia d’Argento al Valor Militare
1860
Arc. 2240:Giovanni Chiassi in gran montura da Tenente Colonnello dello Stato Maggiore dell’Esercito Meridionale (Mantova, 15 gennaio 1827 – Locca, 21 luglio 1866).Nacque a Mantova il 15 genn. 1827 dal nobile Gaetano, primo consigliere anziano nell’I. R. Tribunale provinciale di Mantova, e da Giuseppina dei conti Magnaguti. Trascorse i primi anni tra Mantova, Castel Grimaldo e Castiglione delle Stiviere, e dopo il liceo si iscrisse nel 1844 alla facoltà di ingegneria della università di Padova, che frequentò fino al 1848, allorché venne chiusa in seguito ai moti di Milano. Scoppiata la guerra contro l’Austria, si arruolò nei corpi franchi e poco dopo divenne ufficiale nella colonna mantovana, con la quale il 24 aprile partecipò, assieme a Nino Bixio, alla battaglia di Governolo. Dopo Custoza, ritornata tutta la Lombardia in mano austriaca, anche la colonna mantovana si ritirò in Piemonte insieme all’esercito sardo, ma il Chiassi, rifiutatosi di prestare giuramento in Vercelli a Carlo Alberto, raggiunse Garibaldi che, con un corpo di volontari lombardi, si apprestava a un ultimo tentativo di resistenza nel Varesotto. Nel 1849 fu tra i difensori della Repubblica romana e prese parte il 9 maggio al combattimento di Palestrina e il 19 a quello di Velletri contro l’esercito borbonico. Occupata Roma dalle truppe dell’Oudinot, fu tra coloro che il 2 giugno 1849 risposero all’appello di Garibaldi di accorrere in aiuto di Venezia ma, caduto ammalato a Monterotondo all’indomani della partenza, fu costretto ad abbandonare la colonna garibaldina e a far ritorno a casa. Perseguitato dalla polizia austriaca, non poté tuttavia restare a lungo a Castiglione e preferì trascorrere un breve periodo di esilio in Piemonte. Avendo aderito alla Giovine Italia, ritornò nuovamente in Lombardia, dove l’azione mazziniana, attraverso la ramificazione dei comitati clandestini e la vendita delle cartelle del prestito mazziniano, trovava il terreno più favorevole a causa della reviviscenza della reazione asburgica. Iscritto al Comitato democratico di Mantova, diretto da E. Tazzoli, partecipò attivamente alla famosa congiura, tragicamente conclusasi con le esecuzioni di Belfiore, diffondendo, come capocircolo, cartelle del prestito mazziniano nella regione circostante il distretto di Mantova ed effettuando con G. Acerbi rilievi sulla fortezza della città. Il Chiassi non fu compreso nei primi arresti effettuati in seguito alla scoperta dell’organizzazione segreta nel gennaio del 1852, ma il suo nome venne fatto agli inquirenti, insieme con quello di molti altri congiurati, dal suo ex compagno di scuola e segretario del Comitato, L. Castellazzo, arrestato nell’aprile dello stesso anno. Il 28 giugno 1852 veniva intimato al Chiassi di comparire entro sessanta giorni di fronte alle autorità, per rispondere delle accuse di tradimento. Fuggito, sembra con l’aiuto dello stesso padre del Castellazzo, commissario di polizia, riparò dapprima a Genova e poi in Svizzera, ove Mazzini si accingeva a preparare un nuovo moto rivoluzionario che, iniziato a Milano e sostenuto da schiere di patrioti pronti a penetrare in Lombardia dalla Svizzera e dal Piemonte, avrebbe poi dovuto diffondersi nelle varie parti d’Italia. Ritornato in Piemonte, ebbe il delicato incarico, con Benedetto Cairoli, G. Grizzotti e A. e G. Sacchi, di far penetrare un convoglio di armi attraverso il confine. Ma la notizia del fallimento del moto lo costrinse a desistere dall’impresa e a ritirarsi con i compagni a Mezzana Corti dove la polizia piemontese, per un riguardo verso l’Austria, arrestò i patrioti. Assolto nel processo che ne seguì a Casale, fu però costretto, insieme con gli altri implicati, a ritirarsi di nuovo in Svizzera. Successivamente prese parte al moto insurrezionale del 1854, che ebbe come centro la Valtellina, ma che, secondo gli originari piani di Mazzini, avrebbe dovuto interessare contemporaneamente la Lombardia, la Romagna e Roma. Suo compito era di guidare, insieme con F. Orsini, l’insurrezione nel Comasco, ma il moto non ebbe luogo perché il governo austriaco, avuto sentore di ciò che si stava preparando, eseguì una serie di arresti a Como e a Milano ed inviò agenti a Coira, ove si trovavano il Chiassi e altri rifugiati, per far pressione sul governo del Cantone affinché venissero espulsi dal territorio svizzero. Avvertito che stava per essere arrestato riuscì a rifugiarsi a Londra da dove, il 12 settembre 1854, inviava all’Italia e Popolo una viva protesta contro le persecuzioni delle quali era stato oggetto da parte del governo svizzero. Ai primi di ottobre dello stesso anno, sotto il nome di Lombard Refugié, dimorò a Parigi e poi di nuovo a Londra. Nel 1857, avuta la notizia che Francesco Giuseppe aveva concesso la grazia totale ai trentadue profughi implicati nei processi del ’52 (escluso l’Acerbi perché capolista), poté finalmente ritornare a Castiglione, dove nello stesso anno conseguiva la laurea in ingegneria. Nel 1859, arruolatosi nei Cacciatori delle Alpi, combatté a Varese e San Fermo, quindi si distinse, al seguito della colonna Medici, nella difesa della Valtellina, tanto da essere decorato con una medaglia d’argento al valor militare. Sciolto dopo Villafranca il corpo dei Cacciatori delle Alpi, seguì con altri pochi Garibaldi nell’Italia centrale. Nel 1860 in seguito al rifiuto di Vittorio Emanuele di concedere a Garibaldi, per la progettata spedizione in Sicilia, uno dei reggimenti della brigata Reggio, nella quale erano confluiti molti ufficiali del disciolto corpo dei Cacciatori delle Alpi, il Chiassi, allora capitano nel 46º reggimento fanteria della medesima brigata, presentò le dimissioni da ufficiale dell’esercito regolare e si arruolò nelle formazioni garibaldine comandate dal Medici. Il 21luglio 1860 fu il maggior artefice della presa di Reggio, riuscendo, con un suo tempestivo intervento sul fianco dello schieramento nemico, a mettere in rotta le truppe borboniche, che si erano sino ad allora validamente opposte al Bixio. Dopo essere rimasto per qualche tempo a Reggio, come comandante di quel presidio, ricongiuntosi con Garibaldi, si batté ai primi di ottobre nella battaglia del Volturno col grado di luogotenente colonnello. Terminata la guerra si ritirò per qualche tempo a vita privata dedicandosi alla sua professione di ingegnere. Il 24 luglio 1862, accingendosi Garibaldi ad attuare l’antico disegno di invasione del territorio pontificio, il Chiassi si recò a Caprera, da dove in sua compagnia salpò per la Sicilia; non partecipò tuttavia allo scontro di Aspromonte perché, nel contempo, si era recato a Genova per incarico di Garibaldi stesso. Nell’ottobre del 1865 veniva eletto deputato al Parlamento per il collegio di Bozzolo e conseguentemente si trasferiva a Firenze. Nel 1866, allo scoppio della terza guerra di indipendenza, ebbe il comando del 5º Reggimento del corpo di volontari garibaldini dislocato nel settore delle Giudicarie. Il 21 luglio 1866 trovava eroica morte nella battaglia di Bezzecca mentre contrattaccava le truppe austriache del Montluisant. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Si distinse per valore ed ottime disposizioni, e per costanza grandissima in posizioni aspre, sotto il fuoco nemico.» Fatto d’armi di Bormio, 8 luglio 1859
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria
«Luogotenente colonnello Volontari 5º reggimento del corpo volontari. Morto alle 10,30 del mattino del 21 luglio in Bezzecca, per grave ferita al petto riportata combattendo strenuamente.»
Arc. 2224: Sandor Téleki in montura di via da Colonnello dell’esercito Meridionale (Kólósvar 27 gennaio 1821 – Kólósvar 18 maggio 1892). Il 27 gennaio 1821 nasceva a Kólosvár, in Transilvania, Téleki Sándor, conte ungherese di antica dinastia. Per quanto destinato ad una sicura carriera di alta amministrazione, essendo i genitori incaricati della locale cancelleria imperiale asburgica, il giovane Sándor sposó la causa nazionale magiara, destino che lo vide combattere nel Fórraldom del 1848, la gloriosa e sfortunata guerra d’indipendenza che fu soffocata nel sangue grazie all’intervento russo nel 1849. Egli fu al fianco di uomini come il generale polacco Bém e il Poeta Sándor Petőfi, divenendo in seguito membro della societá che porterá il nome del poeta nazionale magiaro. Del generale Bém fu anche commissario e raggiunse nell’esercito nazionale, la neonata Honvéd, il grado di Colonnello. Il medesimo grado gli verrà assegnato nella legione ungherese al seguito di Garibaldi, assieme ad altri importanti esuli come il piú noto István Türr, grado che gli sará riconosciuto anche dal Regio Esercito Italiano.Vi fu, per iniziativa di Cavour, il lungimirante tentativo di creare i presupposti di una larga insurrezione alle spalle delle forze imperiali, sostenendo gli ungheresi con una Legione Italiana guidata dal colonnello Alessandro Monti. Tale missione incontró peró difficoltá negli spostamenti, anche per i delicati equilibri geopolitici del tempo, dovendo attraversare i Balcani, e giunse in ritardo sul campo di battaglia. Ebbe comumque modo di immolarsi a fianco degli ungheresi nel tragico epilogo della guerra. La sconfitta dei piemontesi a Novara cancelló dall’agenda iniziative simili, nonostante le pressanti richieste di Lajos Kossuth nel suo successivo esilio torinese. Nel frattempo furono gli ungheresi a combattere e morire per l’Italia unita. Dopo la prematura scomparsa di Cavour, nessun altro leader italiano fu all’altezza di sostenere un simile piano di alleanza italo-magiara, che forse avrebbe risolto e disinnescato le tensioni che portarono al primo conflitto mondiale, se mai le nazionalitá dell’europa Danubiana si fossero unite per le reciproche indipendenze nazionali dall’Austria, in un ottica di cooperazione. Nel 1867 Austria e Ungheria si accordarono nel compromesso della Duplice Monarchia, con il ritorno su posizioni moderate di uomini come il Conte Andrassy e la mediazione di Elisabetta di Baviera, piú nota come Principessa Sissi, che ebbe sempre una predilezione per i sudditi magiari. In quell’anno anche Sándor Teleki fece ritorno nei suoi possedimenti in Transilvania, grazie ad un’amnistia, dove finirá i suoi giorni scrivendo numerosi volumi di memorie. Morí il 18 maggio del 1892. Dopo lo smembramento dell’Ungheria a seguito della sconfitta del 1918, il trattato del Trianon assegnó la Transilvania, e gli ungheresi che vi abitavano, alla Romania”. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. G1: Benedetto Angelo Francesco Cairoli (Pavia, 28 gennaio 1825 – Napoli, 8 agosto 1889). Figlio primogenito di Carlo Cairoli, erede di agiati proprietari terrieri della Lomellina, medico, professore di chirurgia all’Università di Pavia e di Adelaide Bono Cairoli, figlia di un prefetto di Milano sotto Napoleone, poi conte dell’Impero. Nel 1848, il padre accettò l’incarico di podestà di Pavia, durante la breve stagione del Governo Provvisorio: tornati gli austriaci, si rifugiò in Piemonte dove morì esule. Benedetto, studente del liceo classico Ugo Foscolo e poi della facoltà di Giurisprudenza sin dal 1844 alla università di Pavia, fu partecipe del crescente clima anti-austriaco e patriottico che lì dominava e si sarebbe tradotto in una larghissima partecipazione degli studenti ai battaglioni di volontari durante la prima guerra di indipendenza. Nel 1848 ebbe un ruolo nelle Cinque Giornate di Milano. Nel 1859 ebbe un comando nel corpo dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi (insieme al fratello Ernesto). Nel 1860 (con il fratello Enrico) fu ancora con Garibaldi alla prima spedizione dei Mille: fu ferito per due volte: la prima, in modo lieve, a Calatafimi e la seconda, gravemente, a Palermo nel 1860. Nel 1866, col grado di colonnello, partecipò alla campagna di Garibaldi nel Trentino. Nel 1867 (mentre i fratelli Enrico e Giovanni conducevano lo scontro di villa Glori) combatté a Mentana. Nel 1870 partecipò ai negoziati informali con Bismarck, negoziati nel corso dei quali pare che il Cancelliere tedesco avesse promesso di appoggiare l’annessione di Roma da parte dell’Italia, a patto che il Partito Democratico si fosse adoperato per impedire un’alleanza fra il re Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Fece parte della Commissione istituita nel dicembre 1861, per redigere il primo elenco dei Mille che sbarcarono a Marsala l’11 maggio 1860. La Commissione era composta dai generali: Vincenzo Giordano Orsini, Francesco Stocco, Giovanni Acerbi, i colonnelli; Giuseppe Dezza, Guglielmo Cenni e Benedetto Cairoli, Giorgio Manin, i maggiori; Luigi Miceli e Antonio Della Palù, i maggiori; Giulio Emanuele De Cretsckmann, Francesco Raffaele Curzio e Davide Cesare Uziel, i capitani; Salvatore Calvino e Achille Argentino. La Commissione rilasciò delle autorizzazioni a fregiarsi della medaglia decretata dal Consiglio civico di Palermo il 21 giugno 1860 per gli sbarcati a Marsala. Un altro Giurì d’onore riesaminò i titoli dei componenti la spedizione e il Ministero della Guerra pubblicò un nuovo Elenco dei Mille di Marsala, nel bollettino n. 21, nell’anno 1864, in base al quale furono concesse le pensioni. Sulla base del secondo elenco fu redatto in modo definitivo il documento della Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 12 novembre 1878. Il prestigio del Cairoli fu grande, anche in quanto rifletteva i meriti dei quattro fratelli, tutti caduti nelle guerre risorgimentali: il padre morto in esilio, Ernesto morto tra i Cacciatori delle Alpi, Luigi morto a Cosenza, di tifo, durante la Spedizione dei Mille, Enrico morto allo Scontro di villa Glori il 23 ottobre del 1867, Giovanni morto per le ferite riportare a villa Glori. Accanto a loro anche due sorelle, Rachele (1826-1856) ed Emilia (1827-1856), alle quali pure la sorte riserva una vita breve. Esemplare fu considerato il comportamento della madre: il suo rifiuto di accettare ricompense od onorificenze di qualsiasi tipo mise la famiglia in una luce ancora migliore di fronte agli Italiani. Quando nel 1876 la Sinistra andò al potere, Cairoli, deputato sin dalla prima legislatura, quindi da 16 anni, divenne capogruppo parlamentare della maggioranza e, dopo la caduta dei governi Depretis e Crispi, il 24 marzo 1878 formò il suo primo Gabinetto che durò fino al 19 dicembre dello stesso anno. Ebbe un secondo mandato il 14 luglio 1879 che durò fino al 29 maggio 1881. Nel 1887 fu insignito del Collare dell’Annunziata, la massima onorificenza italiana. Morì l’8 agosto 1889, mentre si trovava ospite di re Umberto I nella reggia di Capodimonte, a Napoli. Contrariamente ai familiari sepolti nel Sacrario di Gropello, Cairoli ancora oggi riposa nel Cimitero di Poggioreale a Napoli. Fotografia formato 17 x 25,2. Fotografo: Montabone – Napoli. In alto ” All’egregio Sig. Giuseppe Pagani – Gropello Cairoli 1889 – Elena Cairoli”.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata
1887
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
1887
Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia
1887
Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
6 dicembre 1866
Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia
12 giugno 1861
Medaglia d’oro al valor militare
«Come solenne attestato della Sovrana riconoscenza per la splendida prova data al suo attaccamento esponendo la propria vita onde salvare Sua Maestà Umberto I dall’attentato alla Sacra Reale Persona. Napoli, 17 novembre 1878.» 21 novembre 1878
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
Medaglia civica commemorativa delle cinque giornate di Milano (1848)
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Arc. 3086: Acerbi Giovanni (Castel Goffredo, 14 novembre 1825 – Firenze, 4 settembre 1869). Nipote dell’esploratore Giuseppe Acerbi, svolse fin dalla giovinezza un’intensa attività cospirativa. Fu arrestato per propaganda mazziniana nel 1847 a Pavia, dove frequentava la facoltà di giurisprudenza e tradotto a Milano nelle carceri di Santa Margherita sotto l’imputazione di alto tradimento. Liberato nel corso delle “Cinque Giornate” di Milano, durante le quali combatté sulle barricate, partecipò alla difesa di Venezia (1848-1849) e successivamente fu fra i cospiratori di Mantova (1850), essendone uno degli iniziali fondatori, se non addirittura il vero e proprio istitutore. Quando per sfuggire alla cattura dovette lasciare il Regno Lombardo-Veneto e riparare in Svizzera, era con don Enrico Tazzoli e Attilio Mori uno dei tre membri del Comitato Direttivo della cospirazione. Fu l’unico tra i congiurati condannati in contumacia a non essere mai amnistiato dall’Austria. A Genova collaborò con Mazzini alla preparazione del moto milanese del 1853. Nel 1859 partecipò alla guerra d’indipendenza nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, capitanato da Giuseppe Garibaldi, col grado di Sottotenente e ne seguì le imprese. Nel 1860 fu uno dei Mille e assunse le funzioni, con Ippolito Nievo come vice, d’intendente generale della spedizione garibaldina; tale incarico gli venne rinnovato anche in occasione della Terza guerra di indipendenza italiana (1866), a cui partecipò sempre a fianco a Garibaldi come Colonnello Comandante dell’Intendenza e del 2º Reggimento Volontari Italiani dopo il defenestramento del Tenente Colonnello Pietro Spinazzi, e nella spedizione nell’agro romano dell’anno successivo. Nel corso di quest’ultimo tentativo dei garibaldini di risolvere militarmente la Questione romana, nella notte tra il 28 e 29 settembre 1867 fu al comando della colonna che diede inizio all’invasione dello Stato Pontificio. Proclamò la prodittatura in nome di Garibaldi a Torre Alfina, una frazione di Acquapendente, e occupò Viterbo dopo uno scontro con i soldati papalini, nel quale fu ferito in modo non grave. Fece parte della Commissione istituita nel dicembre 1861, per redigere il primo elenco dei Mille che sbarcarono a Marsala l’11 maggio 1860. La Commissione era composta dai generali: Vincenzo Giordano Orsini, Francesco Stocco, Giovanni Acerbi, i Colonnelli; Giuseppe Dezza, Guglielmo Cenni e Benedetto Cairoli, Giorgio Manin, i maggiori; Luigi Miceli e Antonio Della Palù, i maggiori; Giulio Emanuele De Cretsckmann, Francesco Raffaele Curzio e Davide Cesare Uziel, i Capitani; Salvatore Calvino e Achille Argentino. La Commissione rilasciò delle autorizzazioni a fregiarsi della medaglia decretata dal Consiglio civico di Palermo il 21 giugno 1860 per gli sbarcati a Marsala. Un altro Giurì d’onore riesaminò i titoli dei componenti la spedizione e il Ministero della Guerra pubblicò un nuovo elenco dei Mille di Marsala, nel bollettino n.21, nell’anno 1864, in base al quale furono concesse le pensioni. Sulla base del secondo elenco fu redatto in modo definitivo il documento della Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 12 novembre 1878. Fu deputato, militando nelle schiere della sinistra, per il collegio di Lendinara (Ro) nel periodo 1865-1867 e successivamente per quello di Gonzaga (Mn). Si trasferì quindi a Firenze allora capitale d’Italia e sede del Parlamento. Qui, a seguito di un incidente di carrozza che gli produsse una gangrena al piede, morì all’età di 44 anni. Fu tumulato a Castel Goffredo e sulla sua tomba campeggia la scritta: All’appello della Patria rispose sempre: Presente. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano – Parigi.
Onorificenze
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Arc. 1318:Nándor Éber (nato Eberl Ferdinandus Balthasar Bartholomeus) (Budapest, 23 maggio 1825 – Budapest, 27 febbraio 1885) in costume orientale. Nacque a Buda da János ragioniere di corte e Mária Jakubicska . Studiò legalmente all’Università di Scienze di Budapest per poi avviare un’insolita carriera diplomatica studiando all’Accademia d’Oriente di Vienna. Completato il corso annuale, lavorò per alcuni mesi nel ministero degli Esteri, per poi essere nominato segretario dell’Ambasciata di Costantinopoli all’inizio del 1848. A marzo, lasciò il lavoro e tornò in patria (che si era resa indipendente). Nel 1851 andò in Inghilterra, dove studiò scienze militari. Le sue conoscenze militari, politiche e diplomatiche gli permisero di lavorare nel campo giornalistico come corrispondente del The Times in Oriente. Tra il 1853 e il 1856 partecipò alla Guerra di Crimea con i turchi. Eber giunse in Sicilia, dove nella città di Palermo il 16 luglio 1860, partecipò alla formazione della legione ungherese. Questa inizialmente contava 50 uomini che arrivarono a essere 500 volontari. La Brigata, denominata “Eber”, racchiuse tutti i combattenti stranieri e fu guidata da Eber con il grado di colonnello brigadiere e dal tenente colonnello Lajos Tukory, che cadde a Palermo il 29 maggio 1860. Passata al comando di Stefano Turr, divenuto in quei mesi governatore di Napoli, fu utilizzata per reprimere focolai di rivolta in provincia di Avellino, fino al Plebiscito. Turr fu posto in congedo nel dicembre 1861, mentre Eber aveva lasciato l’Italia nell’ottobre 1860. Dopo la campagna, si dimise dall’esercito italiano e lavorò come giornalista in Francia, Italia e Inghilterra e tornò in patria. Nel 1883 fu eletto membro del Consiglio di amministrazione delle linee ungheresi delle Ferrovie dello Stato austriache. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 3211: Brida di Lessolo conte Carlo in gran montura da Tenente Colonnello del Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo mod. 6 marzo 1856 – 30 giugno 1860 (Ivrea, 30 gennaio 1824 – Monticelli d’Ongina, 23 giugno 1866). Entrato all’Accademia Militare di Torino il 1° febbraio 1836, uscì il 20 settembre 1845 Sottotenente di Artiglieria. Trasferito in Cavalleria di linea al Reggimento Piemonte Reale Cavalleria il 22 settembre 1846, venne promosso Tenente il 30 giugno 1849. il 1° agosto 1855 fu promosso Capitano nel Reggimento Savoia Cavalleria, si dimise dall’esercito il 1° aprile 1860 per arruolarsi come Maggiore di cavalleria nell’esercito Meridionale divenendo Aiutante di Campo di Garibaldi. Promosso Tenente Colonnello il 26 luglio 1860 venne confermato tale nel Corpo Volontari Italiani nel 1861. Rientrato nel Regio Esercito il 13 luglio 1862 (anzianità 27 marzo 1862) venne confermato nel suo grado di Tenente Colonnello e assegnato al Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo. Morì di malattia a Monticelli d’Ongina (PC) il 23 giugno 1866. Fotografia CDV. Fotografo: Montabone – Torino.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia
Arc. G1: Achille Majocchi ( Milano 3 novembre 1821 – 1 novembre 1904). Studiò all’Università di Pavia e poi fu assunto a lavorare alla Delegazione Provinciale. Ben presto coltivò ideali mazziniani e unitari. Divenne amico di Giacomo Griziotti. Da poco laureato, partecipò all’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano. Si arruolò volontario per il Veneto, si distinse combattendo a Mestre coi gradi di caporale e nell’agosto 1849 fu promosso ufficiale. Nel 1853 partecipò a un moto insurrezionale mazziniano e rischiò di essere impiccato al Castello di Milano. Nel 1860 partecipò alla Spedizione dei Mille. Fu aggregato allo stato maggiore col grado di tenente. Rischiò la morte a Calatafimi dove fu ferito a ad un fianco e al braccio sinistro. Subì l’amputazione di un braccio nell’ospedale di Vita. Promosso capitano, fece la convalescenza a Salemi dove intervenne nel fermare i disordini causate dalle vendette di alcuni facinorosi che avevano ucciso un agente di polizia ed un appaltatore di dazio. Il Majocchi benché mutilato affrontò da solo la turba inferocita. Per riconoscenza il comune di Salemi volle offrirgli la cittadinanza onoraria. Partecipò anche alla battaglia di Maddaloni, ebbe la Croce dell’ordine militare di Savoia, finì la campagna come tenente colonnello. Con tale grado entrò nell’esercito italiano, prima nel Corpo di Stato Maggiore delle piazze e poi come comandante militare della provincia di Cosenza. Nel 1869 fu collocato a riposo a sua domanda. Nel 1876 fu eletto al Parlamento nel collegio di Borghetto Lodigiano e dieci anni dopo fu rieletto nel collegio di Milano IV. Fu il primo che in Parlamento rilevò le misere condizioni degli asili infantili e ne propose il passaggio dal Ministero dell’Interno a quello della Pubblica Istruzione. Lanciò anche un appello, perché venisse soccorsa la famiglia di Giovanni Pantaleo di Castelvetrano che aveva deposto l’abito talare per combattere con Garibaldi. Infine disgustato delle vane battaglie parlamentari si dimise da deputato. Ridotto quasi in povertà, il Governo gli diede il posto di magazziniere di Tabacchi a Torino e poi a Milano. Negli ultimi anni si ritirò a vivere presso il fratello Ferdinando, a Torre d’Isola (Roma), dove morì il 1.10.1904. La sua salma riposa a Torino. Fotografia formato 16,9 x 22,6. Fotografo: M. Torrani – Milano.
Onorificenze
Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia
1860 Combattimento di Maddaloni
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Arc. 1450: Colonnello John Whitehead Peard (Fowey, luglio 1811 – Trenython, 21 novembre 1880). Secondo figlio del viceammiraglio Shuldham Peard e della sua seconda moglie, Matilde, figlia di William Fortescue di Penwarne, frequentò la King’s School di Ottery St Mary (Devonshire) e l’Exeter College di Oxford, laureandosi in legge. Era un giovane di grande statura e straordinaria forza fisica, buon vogatore e temuto dai teppisti per la sua abilità pugilistica. Nel 1837 divenne avvocato presso l’Inner Temple, poi fu un capitano dei ranger del Duca di Cornovaglia. Durante la sue frequenti visite in Italia rimase colpito dai modi brutali dei funzionari borbonici. Nel 1859, in occasione della seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria, tornò in Italia per unirsi ai volontari di Giuseppe Garibaldi, ma il Ministero della Guerra rifiutò la sua domanda adducendo motivi di età. Tuttavia, il 28 aprile 1859 venne ricevuto a Torino da Cavour, al quale disse di avere le proprie armi, che si sarebbe mantenuto senza chiedere alcuna paga e che non chiedeva alcun grado militare, ma solo di battersi al fianco di Garibaldi, che ammirava e del quale condivideva gli ideali. Colpito dalle parole dell’inglese, Cavour ne accolse la richiesta e il 3 maggio 1859 Peard poté raggiungere Garibaldi a Pontestura; successivamente si distinguerà per coraggio e per abilità come tiratore. Nel 1860 si unì alla spedizione dei Mille, raggiungendo Garibaldi dopo che era sbarcato a Marsala, arrivando in Sicilia a bordo della nave Washington del gruppo della Spedizione Medici; ebbe modo di distinguersi nella battaglia di Milazzo e venne promosso al grado di colonnello, ottenendo il comando di un reparto di soldati dotati di fucili a rotazione. Peard era anche conosciuto per essere il “sosia” di Garibaldi e durante l’avanzata garibaldina accadeva a volte che Peard fosse scambiato per lo stesso generale, venendo acclamato dalle folle ad Auletta, Postiglione, Eboli e Salerno, dove quasi nessuno lo riconosceva, nonostante Peard fosse più alto di Garibaldi ed avesse la barba più lunga. La presenza di Peard, creduto Garibaldi, trasse anche in errore i comandi borbonici, che furono sviati dai falsi messaggi telegrafici inviati da Eboli da parte dello stesso Peard e dai garibaldini Fabrizi e Gallenga: tali messaggi inducevano a credere che i garibaldini fossero presenti in gran numero e i che i borbonici del generale Cardarelli stessero passando dalla loro parte. I falsi messaggi telegrafici e la supposta presenza del vero Garibaldi a Eboli furono così convincenti che i borbonici decisero di ritirarsi da Salerno, dove il Peard come al solito fece poi il suo ingresso trionfale, senza essere riconosciuto, tranne da un ufficiale che gli mormorò all’orecchio la sua vera identità. Peard accompagnò le truppe di Garibaldi anche nell’avanzata verso la città di Napoli e successivamente assunse il comando della Legione Britannica, composta di circa 600 volontari (Garibaldi Excursionists) e sbarcata a Napoli il 15 ottobre 1860 dalle navi Emperor e Milazzo; la Legione Britannica prese parte ad alcuni combattimenti contro l’esercito borbonico. Per i servigi resi alla causa dell’Italia unita Peard fu decorato da Vittorio Emanuele II con la medaglia al valore e fu da quel momento conosciuto in tutta l’Inghilterra come ‘l’inglese di Garibaldi. Al ritiro di Garibaldi a Caprera, Peard ritornò in Inghilterra; quando Garibaldi visitò l’Inghilterra, andò a rendere visita al suo vecchio compagno a Penquite sul fiume Fowey il 25-27 aprile 1864. Peard fu giudice di pace e dottore in legge per la Cornovaglia e nel 1869 rivestì la carica di sceriffo, con funzioni amministrative e giudiziarie. Era anche un massone di primo piano, divenuto Past Grand Master di Cornovaglia il 26 agosto 1879. A East Teignmouth, Devonshire, il 7 giugno 1838 sposò Catherine Augusta, figlia del reverendo William Page Richards, già preside della scuola di Blundell, Tiverton, che gli sopravvisse. Peard morì il 24 novembre 1880 e fu sepolto nel cimitero di Fowey; al Gianicolo di Roma è stato dedicato un busto in marmo al “garibaldino inglese”. Fotografia CDV montata su cartoncino 7,8 x 11,4. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia
12 giugno 1861
Arc. 1057:Giuseppe Sìrtori (Monticello Brianza, 17 aprile 1813 – Roma, 18 settembre 1874). Capo di Stato Maggiore di Garibaldi lungo l’intera spedizione dei Mille e ultimo comandante dell’Esercito meridionale. Come generale nel Regio Esercito combatté con valore a Custoza e fu cinque volte deputato. La sua movimentata esistenza racchiude l’intero spettro delle possibili evoluzioni politiche del lungo Risorgimento italiano. Nacque a Monticello Brianza nel 1813, in una casa ancora esistente, nella frazione di Casatevecchio, a due passi dall’Istituto Greppi, da una famiglia borghese, con sette figli. Avviato alla carriera ecclesiastica, superò con lode gli esami al seminario di Monza, venendo ordinato sacerdote nel 1838. Confratello della Congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio. Nel 1842, ottenne dall’Autorità Ecclesiastica e dal padre il permesso di recarsi a Parigi, grazie all’aiuto economico paterno, per perfezionare i propri studi di teologia e filosofia, materie poi abbandonate per la medicina. Così come non si conosce esattamente la parte che ebbe a Parigi, tanto meno si conoscono le circostanze che lo spinsero al rientro in Italia. Certamente la situazione era in ebollizione: dopo l’insurrezione di Palermo, la costituzione era stata concessa a Napoli il 27 gennaio, lo statuto l’11 febbraio a Firenze, il 4 marzo a Torino ed il 14 marzo a Roma. L’irrequieto Sirtori, ormai trentacinquenne, pensò di non perdere l’occasione. Non partecipò alle cinque giornate di Milano, ma vi giunse d’appresso. Vi era, certamente, il 7 aprile e si segnalava come fervente mazziniano e, quindi, contrario alla unione della Lombardia al Regno di Sardegna. Quando, il 12 maggio, venne votato il plebiscito per l’annessione al Piemonte, si comportò di conseguenza, presentando regolare domanda per entrare in una brigata di volontari lombardi. In tali raggruppamenti difettavano quadri addestrati e gli ufficiali venivano eletti dalla truppa: Sirtori poté, forse, far valere la sua recente esperienza a Parigi, certamente l’eloquenza esercitata nei suoi anni da prevosto e venne eletto capitano. Il battaglione di volontari lombardi venne inviato dal Governo Provvisorio di Lombardia alla difesa di Venezia e Sirtori lo seguì. Gli austriaci, dopo aver definitivamente sconfitto i piemontesi a Novara, ripreso Brescia e “normalizzato” l’intero territorio, si volsero, allora, contro l’unica grande superstite, Venezia. Sirtori venne nominato membro di una commissione militare, insieme ad Ulloa ed a Baldisserotto, di cui Pepe assunse la presidenza onoraria. Il 20 marzo combatté con i volontari lombardi ed i soldati pontifici alla strenua difesa del campo trincerato di Conche, ad ovest di Chioggia. Si ritirò ed il 22 guidò i sopravvissuti alla riconquista, ricacciando gli austriaci di là dalla Brenta. Si distinse alla difesa di Forte Marghera e fu tra gli ultimi a lasciare il forte, con Ulloa, garantendo il trasporto dei feriti. Poco dopo raggiunse Forte San Giuliano, evacuato insieme a Forte Marghera, preparò una trappola di esplosivi che decimò il primo reparto austriaco, dei cacciatori della Stiria, che si avvicinarono al forte. Il 1º agosto guidò una sortita dal Forte Brondolo che costrinse gli austriaci alla fuga, lasciando 200 vacche. Un bottino preziosissimo, considerato lo stato di penuria in cui versava la città. Il 6 agosto approvò l’affidamento della dittatura a Manin e l’avvio di trattative di resa. Nel marzo 1860, venne eletto deputato al parlamento di Torino del nuovo Regno di Sardegna per il collegio di Missaglia, allora Provincia di Como e, per procurarsi un abito adeguato, fu costretto a chiedere aiuto ad uno dei fratelli ai quali poteva, finalmente, riavvicinarsi. Fu allora che il generale Garibaldi, il quale andava preparando la spedizione dei Mille, lo volle accanto a sé e lo imbarcò nella prima spedizione, partita da Quarto la sera del 5 maggio. Nella sosta di Talamone, durante il viaggio dei Mille verso Marsala, Garibaldi riorganizzò la piccola truppa, dividendolo in due “battaglioni”, assai ridotti in verità. Li affidò a Bixio ed al siciliano Carini. I due altri noti militari che aveva a disposizione (Sirtori e Türr) divennero, rispettivamente, capo di stato maggiore e aiutante di campo. Nella marcia da Marsala a Calatafimi, a Salemi, si occupò di dare un primo ordinamento alle squadre di volontari siciliani che si aggregavano per via: li battezzò “Cacciatori dell’Etna”. Il 15 maggio 1860, a Calatafimi, si batté con grande valore e fu ferito ad una gamba. Ad uno dei fratelli scrisse di aver salvato Garibaldi e la bandiera dai borbonici. Il 29 maggio, durante l’insurrezione di Palermo, insieme al Carini fermò l’ingresso in città di Bosco e di Von Mechel, sino a che questi venne raggiunto da emissari del tenente generale Lanza che gli comunicavano come fosse in vigore una tregua d’armi. Venne ferito e promosso generale. Scrisse al fratello: “Garibaldi deve la presa di Palermo a me”. Il 19 luglio fu nominato segretario di Stato alla guerra nel governo dittatoriale succedendo a Vincenzo Orsini. Il 19 luglio Garibaldi, imbarcandosi a Palermo per portarsi a Milazzo, lo nominò prodittatore in Sicilia. Il 22 luglio, due giorni dopo la battaglia di Milazzo lo richiamò con sé, e nominò prodittatore Depretis. A Napoli il 14 settembre Garibaldi emana un Decreto cha nomina il generale Sirtori Prodittatore delle province napoletane. Il 1º- 2 ottobre, alla battaglia del Volturno comandava la divisione di riserva e la mosse, al tempo ed ai luoghi giusti, contro la colonna Perrone, bloccandone a marcia verso Caserta e, quindi, l’aggiramento del fronte garibaldino, contribuendo in misura decisiva alla vittoria. Passarono invece nell’esercito regolare i migliori generali garibaldini: Medici, Cosenz, Bixio e lo stesso Sirtori. Nel febbraio 1861 era stato eletto deputato del Regno d’Italia (lo restò per 4 legislature, fino alla morte). In un primo tempo, il 12 giugno 1861 vennero insigniti del titolo di Commendatore dell’Ordine Militare d’Italia. Successivamente, nel marzo 1862, vennero trasferiti nell’esercito italiano con il grado portato dell’Esercito meridionale, nel caso del Sirtori quello di tenente generale. Negli anni successivi gli venne affidato un comando di divisione. Nel 1866, allo scoppio della Terza guerra di indipendenza era comandante della 5ª divisione, aggregata al 1º Corpo d’armata di Durando e si batté con valore a Custoza, il 24 giugno 1866. Seppur deputato per 4 legislature, non fu mai nominato dal Re senatore, come accadde, invece, ai suoi commilitoni Medici e Cosenz. Negli ultimi anni, da comandante di divisione ad Alessandria, si distinse per il proprio sostegno alla erezione a Milano di un monumento a Napoleone III, entrando in polemica con molti ex-garibaldini che ricordavano assai più Mentana che Solferino. Ciò gli valse la perdita di molti amici, fra i quali Ernesto Teodoro Moneta. Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
Campagna del 1860
Medaglia commemorativa dei Mille di Marsala
«Ai prodi cui fu duce Garibaldi» Palermo, 21 giugno 1860
Arc. 2120: Giovanni Nicòtera (Sambiase, 9 settembre 1828 – Vico Equense, 13 giugno 1894). Aderì alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini; combatté a Napoli il 15 maggio 1848 e quindi insieme a Garibaldi durante la Repubblica Romana nel 1849. Dopo la caduta di Roma si rifugiò in Piemonte, dove organizzò la fallita spedizione di Sapri con Carlo Pisacane nel 1857. Nicotera, gravemente ferito e arrestato, fu portato in catene a Salerno, dove venne processato e condannato a morte. La pena fu tramutata in ergastolo. Prigioniero a Favignana, fu liberato nel 1860 per l’intervento di Garibaldi. Inviato per conto di questi in Toscana, formò un corpo di volontari per tentare di invadere lo Stato Pontificio, tuttavia esso fu costretto al disarmo e allo scioglimento da Ricasoli e Cavour. Il gruppo di Nicotera si componeva di 2.000 volontari che avrebbero dovuto congiungersi con i 6.000 di Pianciani, che a loro volta avrebbero dovuto sbarcare nel nord del Lazio, quindi i due gruppi avrebbero dovuto congiungersi con altri circa 1.000 volontari provenienti dalla Romagna verso le Marche, formando una spedizione per un totale di circa 9.000 volontari per puntare verso sud, prendendo l’esercito borbonico in una manovra cosiddetta tenaglia. Tale piano non ebbe però pratica attuazione in quanto Cavour indirizzò la spedizione verso la Sardegna e poi verso Sud. Nel 1862 fu al fianco di Garibaldi sull’Aspromonte e quindi, nel 1866, comandò il 6º reggimento volontari nella Terza guerra d’indipendenza contro l’Austria. L’anno seguente entrò in territorio pontificio da sud ma la sconfitta di Garibaldi a Mentana pose fine all’operazione. Fin dal 1860 aveva anche intrapreso un’attività politica, pubblicando articoli su un giornale, Il popolo d’Italia, al quale collaborava anche Aurelio Saffi; per un decennio fu su posizioni di estrema opposizione; dal 1870 iniziò tuttavia ad appoggiare le riforme militari di Ricotti-Magnani. Massone, nel 1864 fu eletto membro del Grande Oriente d’Italia dall’Assemblea costituente di Firenze, dove nel 1867 fu membro della Loggia “Universo”. Nel 1869 fu Maestro venerabile della Loggia “Rigenerazione” di Napoli e nel 1872 fu eletto membro del Consiglio dell’Ordine. Con l’arrivo al governo della Sinistra storica, nel 1876, divenne ministro dell’Interno nel primo governo Depretis, incarico che esercitò con particolare fermezza. Fu costretto alle dimissioni nel dicembre 1877; formò quindi la “pentarchia”, con Crispi, Cairoli, Zanardelli e Baccarini, in opposizione a Depretis. Tornò al governo, sempre come ministro dell’Interno, nel 1891, con il primo governo di Rudinì. Durante questo incarico reintrodusse la circoscrizione uninominale, si oppose alle agitazioni socialiste e propose invano l’adozione di severe misure repressive contro le banconote false stampate dalla Banca Romana. La sua permanenza al governo terminò con la caduta di Rudinì, nel maggio 1892. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2120:Giovanni Nicòtera (Sambiase, 9 settembre 1828 – Vico Equense, 13 giugno 1894). Fotografia CDV. Fotografo: Hodcend Degoix – Genova.
Arc. 2841: Fabrizzi Luigi in gran montura da Colonnello dei Bersaglieri probabilmente del Corpo Volontari Italiani poiché non risulta fra i comandanti dei Bersaglieri del Regio Esercito Italiano ( Modena 1812 – Pisa 1865). Caporale della Gurdia Nazionale di Modena nel 1831, partecipò alla campagna del 1848 e il 10 aprile dello stesso anno era Sottotenente di Stato Maggiore dell’esercito pontificio in Veneto. Il 18 aprile 1848 venne promosso Tenente e il 19 luglio 1848 fu Aiutante di Campo di Garibaldi in Lombardia. Il 28 febbraio 1849 fu Capitano nel Battaglione Italiano in Toscana e l’8 maggio 1849 passò alla Repubblica Romana come Capitano di Stato Maggiore; il 28 giugno ottenne il grado di Maggiore. Dal 22 novembre 1855 all’11 settembre 1856 passò come Capitano di Fanteria nel 1° Reggimento Anglo-Italiano. Il 30 agosto 1860 fu comandante delle Forze Insurrezionali della Provincia di Salerno e il 22 settembre venne promosso Colonnello Brigadiere dell’Esercito Meridionale Comandante della Brigata Fabrizzi. L’8 agosto ottenne il grado di Colonnello di Fanteria e il 27 marzo 1862 passò come Colonnello di Fanteria nel Regio Esercito Italiano a disposizione del Ministero. Il 16 maggio 1863 fu in ritiro. Nella foto è ritratto col braccio ferito a Capua il 29 ottobre 1860 dove meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Capua 29 ottobre 1860
Arc. 2409:Narciso Bronzetti sul letto di morte con la sua uniforme da Maggiore del I Battaglione dei Cacciatori delle Alpi. (Cavalese, 5 giugno 1821 – Brescia, 17 giugno 1859). Primogenito di Domenico Bronzetti (Roverè, 24 febbraio 1786 – Genua, 8 marzo 1876) e Caterina Strasser (Bronzoll, 25 novembre 1795 – Genua 20 febbraio 1867) si trasferì ancora bambino a Mantova, dove il padre era stato destinato come impiegato pubblico. Compiuti gli studi nella città virgiliana, si arruolò nei Cacciatori tirolesi. Si congedò dall’esercitò austriaco nel 1847all’approssimarsi del fatidico 1848. Partecipò ai moti mantovani, ma costretto alla fuga si unì alla colonna mantovana di bersaglieri, costituita in massima parte da volontari della stessa città tra i quali il conte Giovanni Arrivabene. Partecipò alla prima battaglia di Governolo il 24 aprile meritandosi la promozione al grado di sottotenente. Dopo la sconfitta di Carlo Alberto riparò in Piemonte. Nel marzo del 1849 con il fratello Pilade si arruolò nel 6º battaglione bersaglieri al comando di Manara. I fratelli Bronzetti quindi combatterono in difesa della Repubblica romana, distinguendosi particolarmente nei combattimenti di Porta San Pancrazio Nel 1859 con lo scoppio della seconda guerra di indipendenza si arruolò come capitano nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi accanto al fratello Pilade, tenente. Combatté a Varese, a San Fermo, a Laverno nel frattempo venendo promosso di grado. Narciso Bronzetti, maggiore del 1º reggimento Cacciatori delle Alpi, morì il 17 giugno a Brescia in seguito a ferite riportate nel combattimento di Treponti. Anche lo zio paterno, Carlo Giuseppe Bronzetti, era militare, prima austriaco poi bavarese, come il cugino Ignaz Heinrich Bronzetti, che è stato generale nell’esercito bavarese. Fotografia formato 12,2 x 17. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Combattimento di Tre Ponti 15 giugno 1859
Arc. 2409: Retro della foto di Narciso Bronzetti. Fotografia formato 12,2 x 17. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2868: Fanteria: Bandi Giuseppe in piccola montura da Maggiore del 44° Reggimento Fanteria Brigata Forlì (Gavorrano 15 luglio 1834 – Livorno 1° luglio 1894). I successivi incarichi del padre, un importante ufficiale governativo del Granducato di Toscana, portano la famiglia di Giuseppe in varie città toscane. Giuseppe studia ad Arezzo e Lucca. Dopo il diploma si iscrive all’Università di Pisa e poi a quella di Siena dove si laurea in legge ed inizia la sua attività politica diventando segretario locale della Giovine Italia di Mazzini. Questa simpatia politica gli causa un primo arresto nel 1857 e l’espulsione dal Granducato nell’anno successivo. Per aver favorito la latitanza di tre mazziniani ricercati, viene arrestato e condannato, il 1º settembre 1858, a un anno di reclusione da scontare nel carcere di Portoferraio: ne esce il 27 aprile 1859, dopo la fuga dalla Toscana di Leopoldo II. Il 15 maggio 1859 si arruola volontario come Sottotenente nel 1° Battaglione Volontari Toscani e il 1° gennaio 1860 passa al 34° Reggimento Fanteria dell’Esercito della Lega poi passato all’Esercito Sardo. Il 2 maggio 1860 è nel 9° Reggimento Fanteria e il 5 dello stesso mese parte con Garibaldi e i Mille da Quarto. Il 7 maggio viene nominato Aiutante di Campo di Garibaldi e il 25 giugno viene promosso Capitano nel 5° Reggimento della 1^ Brigata della 16^ Divisione. Il 1° novembre 1860 è promosso Maggiore nel 2° Reggimento della 17^ Divisione dell’Esercito Meridionale. Il 12 giugno 1861 è Maggiore del Corpo Volontari Italiani e il 27 marzo 1862 viene messo in aspettativa dal Regio Esercito Italiano. Il 16 aprile 1862 viene ammesso al 1° Reggimento Granatieri di Sardegna e il 26 ottobre 1863 passa al 44° Reggimento Fanteria dove rimane fino al 20 settembre 1868 quando viene trasferito al 46° Reggimento Fanteria della Brigata Reggio; il l 26 febbraio 1870 viene congedato. Fece sempre parte del Consiglio di Disciplina e del Tribunale Militare. Lasciato l’esercito, a Firenze, si dedica al giornalismo; dopo aver collaborato a diversi giornali, nel 1872 è posto alla direzione della Gazzetta Livornese, quotidiano conservatore in concorrenza con l’Eco del Tirreno, settimanale espressione delle forze democratiche. Nel 1876 acquisisce la proprietà del giornale livornese: su ordine di Agostino Depretis, appoggia la candidatura parlamentare del ministro della Marina Benedetto Brin, appoggiato dagli industriali che si attendono dal Brin importanti commesse. Nel 1877 fonda anche il quotidiano della sera Il Telegrafo (attuale Il Tirreno), monopolizzando così l’informazione della città, la cui economia è in mano dell’amico ed ex garibaldino Luigi Orlando. Scrive numerosi romanzi, nel genere storico-guerrazziano, che pubblica a puntate nelle appendici dei suoi e di altri giornali, mentre la prosa dei suoi articoli giornalistici è spesso violentemente polemica. Nel 1879, l’inviato a Livorno della Gazzetta d’Italia, Gino Ferenzona, scrive due opuscoli contro Garibaldi e, il 17 aprile, un articolo contro Bandi e i garibaldini. Il 18 aprile Bandi risponde qualificandolo «provocatore» e scrivendo che «se il signor Ferenzona è stanco di vivere, picchi a un altro uscio». Il giorno dopo il Ferenzona viene trovato assassinato; il Bandi è sospettato ma le indagini non individuano alcun colpevole e il delitto rimarrà impunito. Continua, dalle colonne dei suoi giornali, una decisa lotta politica contro socialisti e anarchici, dai quali riceve lettere di minaccia. Subito dopo l’assassinio, avvenuto il 24 giugno 1894 a Parigi, del Presidente della Repubblica francese Marie François Sadi Carnot per mano dell’anarchico italiano Sante Caserio, il Bandi attacca chi ritenga che siano le ingiustizie sociali a generare la violenza politica. Il 1º luglio 1894 viene pugnalato a morte a Livorno, mentre in carrozza scoperta si dirige al giornale, dall’anarchico Oreste Lucchesi. Questi, insieme al complice Amerigo Franchi, viene arrestato il 15 luglio e condannato a 30 anni di reclusione; il mandante del delitto, Rosolino Romiti, è condannato all’ergastolo. È noto soprattutto per essere l’autore di uno dei capolavori della letteratura garibaldina, I Mille, da Genova a Capua, pubblicato postumo nel 1902: una delle testimonianze più appassionanti sull’epopea garibaldina, un’opera di sapore popolaresco, vigorosa e asciutta. Fotografia CDV. Fotografo: P. Lombardi – Siena. Autografa e datata 1863.
Onorificenze
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
Medaglia commemorativa dell’Unità d’Italia
Arc. 1413:Carlo De Cristoforis in piccola montura da Capitano dei Cacciatori delle Alpi (Milano, 1824 – San Fermo della Battaglia, 27 maggio 1859). Nacque a Milano nel 1824 figlio di Giovanni Battista, illustre professore di lettere che aveva avuto tra i suoi allievi al liceo Carlo Cattaneo e Cesare Cantù e che era stato collaboratore del “Conciliatore”. Studente all’Università di Pavia, fu ammesso nel 1842 nel Collegio Ghislieri, e proprio nel Collegio grazie ad amicizie e letture “clandestine” sviluppò le sue idee politiche e patriottiche. Combattente alle cinque giornate del 1848 con il Manara. Compagno di Manara anche fra le montagne del Trentino nel 1848. Dopo il 1848, nei difficili anni seguiti al rientro degli austriaci a Milano, si rifugiò negli studi di economia e sociologia. Economista, allievo esterno della Scuola Imperiale d’Applicazione di Stato Maggiore di Parigi, era ritenuto una delle più feconde menti lombarde del tempo. Fautore della teoria del “credito gratuito” di Pierre-Joseph Proudhon, pubblicò, in vita, “Il credito bancario e i contadini (1851)”. Non tralasciò nemmeno l’azione politica, legandosi al cosiddetto “Comitato dell’Olona”, guidato da G. B. Carta (quello che aveva stampato il manifesto per cui venne fucilato Amatore Sciesa). Nel 1853, compromessosi nella fallita insurrezione tentata il 6 febbraio 1853 a Milano, partì esule in Francia, Piemonte e Inghilterra. I fatti contribuirono ad allontanarlo definitivamente da Mazzini: nel 1856 si arruolò con il grado di Sottotenente nella Legione Italiana organizzata dall’Inghilterra in Piemonte ed a Malta per la guerra di Crimea. Nel 1857 si parlò di lui come un possibile partecipante ad una spedizione nel Regno di Napoli cui parteciperebbero ex-mazziniani, quali Giuseppe Sirtori. Quindi passò a Londra nel 1858 quale professore supplente di fortificazioni e topografia nel Collegio Militare di Sumbury e poi professore titolare della stessa disciplina in un altro collegio militare dello Stato Maggiore. Fra il 1849 e l’agosto 1857 stendeva il libro “Che cosa sia la guerra” (pubblicato solo nel 1860), per preparare i giovani còlti all’alto compito d’inquadrare negli eserciti regolari italiani le nuove forze. Egli si mostrava più che mai scettico circa ogni utilizzazione delle forze popolari che non fosse attraverso l’esercito regolare, anzi l’esercito di qualità, sul modello francese, ossia un esercito con soldati a lunga ferma e divenuti alla fine simili a soldati di mestiere e privo di volontari. Nel 1859 si recò in Italia per combattere, ma il generale piemontese La Marmora lo credeva (come tutti gli ex-insorti lombardi) un sovversivo e non lo ammise nell’esercito regolare. Non riuscì pertanto ad ottenere un posto nello stato maggiore di Garibaldi né in quello dei Cacciatori degli Appennini di cui curava l’organizzazione il generale Ulloa. Si arruolò allora come semplice capitano comandante di compagnia nei Cacciatori delle Alpi. Cadde eroicamente nella battaglia di San Fermo il 27 maggio 1859, a soli trentaquattro anni, mentre alla testa dei suoi uomini guidava un assalto alla baionetta verso una ben difesa postazione austriaca. Morì tra le braccia del fratello Malachia, che non vedeva dal 1853, quando a seguito dei moti di Milano del 1853, fu costretto a fuggire all’estero. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano.
Arc. 663:Francesco Nullo (Bergamo, 1º marzo 1826 – Krzykawka, 5 maggio 1863). Figlio di Arcangelo e Angelina Magno, personaggio di grande coraggio, visse nel XIX secolo e legò il suo nome a numerose imprese patriottiche in Italia e Polonia. Di famiglia agiata, era commerciante di tele di lino e possedeva una fabbrica di tessuti. Partecipò, coi suoi due fratelli, a fianco della popolazione milanese nelle barricate delle cinque giornate di Milano, durante i moti del 1848, fatto che gli causò numerosi problemi con la polizia austriaca. Arruolatosi nei Corpi Volontari Lombardi del generale Michele Allemandi nel mese di aprile prese parte alla sfortunata invasione del Trentino. Animato da profondo spirito patriottico, si unì nel 1859 a Garibaldi nelle file dei Cacciatori delle Alpi per combattere contro gli austriaci. Ma l’impresa per la quale passò alla storia fu la spedizione dei Mille. Nullo si occupò personalmente dell’arruolamento dei volontari nella propria città che, visto il grande numero di adesioni, si poté fregiare dell’appellativo di Città dei Mille. Inoltre si dice che, grazie alla sua attività nel campo dei tessuti, fornì le camicie rosse utilizzate dai garibaldini nella spedizione. La spedizione dei Mille lo vide protagonista di atti di valore, tanto che fu lui a piantare il primo tricolore a Palermo, il 27 maggio 1860. Ebbe una carriera militare assai veloce, che lo vide passare dal grado di capitano (dopo il suo ferimento a Calatafimi) a quello di tenente colonnello, per terminare a quello di generale. Nel 1862 venne arrestato con altri 123 garibaldini mentre organizzava una spedizione per la liberazione del Veneto, ricordata come fatti di Sarnico. Continuò ad essere fedele compagno di Garibaldi anche nella seconda spedizione in Sicilia con lo scontro d’Aspromonte. In questa occasione Nullo, il 3 luglio a Palermo, fu affiliato alla massoneria di rito scozzese (nella Loggia “I Rigeneratori del 12 gennaro 1848 al 1860 Garibaldini”, della quale era Maestro Venerabile Emanuele Sartorio) insieme agli altri componenti dello Stato Maggiore garibaldino (Giacinto Bruzzesi, Pietro Ripari, Enrico Guastalla, Giuseppe Guerzoni, Giovanni Chiassi, Giovanni Basso, Giuseppe Nuvolari, ed altri ufficiali). Dopo la caduta del governo Rattazzi, a causa della generale indignazione per i fatti d’Aspromonte, il nuovo primo ministro Farini incoraggiò Nullo a formare una legione di volontari per intervenire al fianco degli insorti polacchi contro la dominazione russa, assicurando il proprio intervento presso il Re, affinché dichiarasse guerra all’Impero russo. Malgrado la caduta di Farini (che aveva minacciato il re con un coltello durante un consiglio dei ministri manifestando i segni di un disturbo psichico) Nullo riuscì a partire per la Polonia, alla testa di una formazione raccogliticcia di circa 600 volontari italiani e francesi, tra i quali una sessantina di camicie rosse. Durante il viaggio di trasferimento, si aggregarono alla legione franco-italiana anche piccoli gruppi di cacciatori polacchi in esilio e gli Zuavi della Morte, guidati dal tenente François Rochebrune. La Legione varcò i confini della Polonia del Congresso il 3 maggio 1863 presso Krzeszowice. Quel giorno venne ingaggiata la prima battaglia del gruppo in Polonia a Podłęże, dove sconfisse una pattuglia zarista. Successivamente, il 5 maggio 1863 la Legione prese parte nella battaglia di Krzykawka, dove insieme agli Zuavi della Morte subì pesanti perdite; Nullo cadde in battaglia trafitto da un proiettile cosacco, avendo solo il tempo di sussurrare, in dialetto bergamasco: Só mórt! (“sono morto”). Nonostante l’inesperienza degli insorti polacchi, si batté con un coraggio tale da creare attorno a sé un alone di invulnerabilità e guadagnarsi l’ammirazione di tutti. Nello stesso scontro altri italiani furono fatti prigionieri e deportati in Siberia, tra cui Giovanni Rustici, e insieme a Nullo fu ferito anche Stefano Elia Marchetti, che fu poi trasportato a casa di un capitano austriaco, vicino al confine della Polonia austriaca, a Chrzanów, dove morì sei giorni dopo a causa delle ferite riportate. Nullo è stato sepolto a Olkusz, in Polonia. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuti.
Arc. 663:Francesco Nullo (Bergamo, 1º marzo 1826 – Krzykawka, 5 maggio 1863). Fotografia CDV da incisione. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2124:Alberto Mario (Lendinara, 4 giugno 1825 – Lendinara, 2 giugno 1883). Discendente da una nobile famiglia di origine ferrarese stabilitasi da molto tempo a Lendinara, Alberto, giovane studente all’Università di Padova, l’8 febbraio 1848 partecipa attivamente alle manifestazioni, tanto da essere costretto a riparare a Bologna, dove si unisce agli studenti volontari aggregati alle truppe di Pio IX. Combatte contro gli austriaci a Bassano del Grappa, Treviso e Vicenza. Dopo il fallimento della campagna ripara a Milano dove conosce Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini. Negli anni che vanno dal 1849 al 1857, Mario soggiornò a lungo a Genova insieme agli altri patrioti in esilio. Dopo aver passato alcuni mesi nel carcere di Sant’Andrea a Genova per il fallimento dei progetti rivoluzionari, Mario si trasferì a Londra dove nel 1858 sposò Jessie White, giornalista corrispondente del London Daily News. Con la moglie intraprese una serie di viaggi che lo portarono anche negli Stati Uniti dove perorò la causa risorgimentale. Tornato in Italia, dopo aver passato qualche giorno in prigione, fu espulso dal Regno di Sardegna e riparò a Lugano, dove si trovavano Mazzini e Carlo Cattaneo. Lì Mario assunse la direzione dell’organo mazziniano Pensiero ed azione. Mario, con la moglie, riuscì ad imbarcarsi per la Sicilia per raggiungere Garibaldi con la seconda spedizione capitanata da Medici. Convinto federalista, Mario teorizzava la necessità di abbattere le “satrapie burocratiche” del centralismo italiano, allo scopo di realizzare una legislazione articolata, adatta a garantire l’autogoverno di istituzioni decentrate come regioni e comuni. Passato in Calabria ebbe il compito di reprimere le rivolte dei contadini fedeli ai borboni. Nel 1862, Mario scrisse La camicia rossa, memoriale sulla spedizione dei Mille pubblicato in lingua inglese. Partecipò alla campagna del 1866 al comando di alcune unità di flottiglia sul Lago di Garda. Nel 1867 fu con Garibaldi a Monterotondo e a Mentana. Compiutasi l’unità d’Italia, si dedicò a tempo pieno al giornalismo: diresse «La Provincia di Mantova» (1872-74), la «Rivista Repubblicana» (1878-79), la «Lega della Democrazia» (1880-83) sempre su posizione federaliste, seguace di quel Cattaneo che aveva celebrato nel 1870, a un anno dalla morte, con un libro dal titolo significativo, “La mente di Carlo Cattaneo“. Dal 1862 al 1866 risiedette a Bellosguardo, vicino a Firenze e dopo l’annessione del Veneto, si ristabilì nella natia Lendinara, dove morì il 2 giugno 1883. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Vianelli – Venezia.
Arc. 873:Agostino Bertani (Milano, 19 ottobre 1812 – Roma, 30 aprile 1886). Formatosi all’Università degli Studi di Pavia come allievo del Collegio Borromeo, fu medico-chirurgo all’Ospedale Maggiore di Milano, a partire dal 1840; nel 1842 fondò la Gazzetta Medica. Amico di Mazzini, e ancor più di Cattaneo, fu tra i preparatori e i partecipanti alle Cinque giornate di Milano (1848); da allora e in seguito fu organizzatore indefesso dell’assistenza ai feriti in quasi tutti i più importanti avvenimenti militari nella Penisola italiana. Nel 1849 fu a Roma a sostenere la Repubblica romana, prestando servizio come medico, e si ritrovò a curare Goffredo Mameli, ferito alla gamba sinistra durante un assalto alla baionetta nell’Assedio di Roma. La ferita sembrava leggera, ma si sviluppò una grave infezione che costrinse Bertani ad amputare la gamba, invano, poiché l’infezione fu fatale a Mameli. Tuttavia, come ricordo dell’assistenza prestata, la madre di Mameli volle donare ad Agostino Bertani una teca con una ciocca dei capelli del figlio. Dopo aver riparato in esilio in Svizzera, Bertani si trasferì a Genova ove costituì, con l’approvazione di Mazzini, un “Comitato militare” per l’indipendenza e l’Unità d’Italia. Fu eletto deputato nella VII legislatura del Regno di Sardegna. Pur restando fedele ai suoi principi repubblicani, nel 1859 dichiarò con i suoi amici esuli di dare leale appoggio al governo piemontese. Partecipò alla Seconda guerra d’indipendenza come ufficiale medico nel corpo dei volontari di Garibaldi. Nel 1860 seguì l’Eroe dei due mondi a Palermo e a Napoli. Ebbe un ruolo importante nel raccogliere cinque spedizioni in aiuto ai garibaldini, occupandosi anche di ottenere gli aiuti economici e rivestendo la qualifica di “segretario generale” che controfirmava i decreti del dittatore Garibaldi. In questa sua attività suscitò tuttavia sia l’avversità di Cavour, che lo riteneva contrario all’annessione diretta al regno di Sardegna, sia dei generali garibaldini. Fu sostituito pertanto dal Pallavicino. Nel 1861 fu eletto al Parlamento del Regno d’Italia, ove sedette nei banchi della Sinistra storica, coinvolto in aspre polemiche. Si oppose alla spedizione di Garibaldi del 1862 verso Roma, anche se rimase amico di Garibaldi e fu nuovamente al suo fianco nell’Invasione del Trentino, con la responsabilità del servizio medico; combatté nella battaglia di Mentana del 1867. Dopo la presa di Roma nel 1870 divenne sempre più il riferimento in Parlamento della Sinistra extraparlamentare repubblicana e mazziniana. S’impegnò nella conciliazione tra le istanze repubblicane e un’evoluzione della monarchia in senso democratico. Pur mantenendo l’ideale repubblicano, Bertani era contrario all’astensionismo propugnato dalla maggior parte dei seguaci di Mazzini, e ritenne sempre prioritario condurre la lotta democratica nel quadro delle istituzioni, senza alcuna pregiudiziale istituzionale. Dopo essersi opposto ai governi della Destra storica, Bertani prese le distanze anche dalla Sinistra di Agostino Depretis – di cui condannava sul piano politico e morale la pratica del trasformismo – e, il 26 maggio 1877, costituì un separato gruppo parlamentare del “partito dell’estrema sinistra”. Appoggiò in seguito il Governo Cairoli I. Per tale motivo, è considerato il fondatore dell’Estrema sinistra storica, di cui fu la guida, prima dell’avvento di Felice Cavallotti. Fu promotore dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori della terra in Italia, sostenne l’abolizione della tassa sul macinato, fu fautore del suffragio universale e si occupò di questioni di istruzione e di igiene pubblica. Nella sua carriera di deputato ebbe sempre particolare attenzione per i problemi riguardanti la sanità; da ricordare inoltre il suo intervento per alleviare le condizioni di detenzione di Giovanni Passannante, anarchico condannato all’ergastolo per il tentato omicidio del re Umberto I. Fu anche scrittore efficace, come si vede dai suoi numerosi opuscoli, dai discorsi politici, dai lavori professionali e tecnici. I suoi scritti di argomento politico vennero raccolti e pubblicati in Scritti e discorsi (1890) e partecipò anche alla fondazione del giornale La Riforma. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Bernieri – Torino.
Arc. 2198:Riboli conte Timoteo (Colorno, 24 gennaio 1808 – Torino, 15 aprile 1895). Nasce a Colorno nell’allora Ducato di Parma. Si trasferì con la famiglia a Parma nel 1817, dove morirono per febbre petecchiale il fratello, la sorella ed il padre, restando con la madre e altri quattro fratelli in una situazione di estrema povertà. Inizialmente poté dedicarsi agli studi di medicina all’Università di Parma grazie all’aiuto di Maria Antonietta di Borbone, ma con la partenza di questa per Roma (si ritirò come religiosa Orsolina), ritornarono le difficoltà. Ebbe successivamente il sostegno del cappellano dell’Università, don Domenico Varanini, dedicandosi per nove anni a produrre preparati in cera per il Gabinetto Anatomico, laureandosi definitivamente nel 1832. Dal 1848, visse per ben 47 anni a Torino, dove si trasferì come esule in seguito dei Moti parmensi del 1848 e vi morirà il 15 aprile 1895. Partecipa alla Seconda guerra d’indipendenza divenendo il medico personale di Giuseppe Garibaldi, nonché suo grande amico che seguirà fedelmente, curandolo in diverse circostanze tra cui la celebre ferita alla gamba. Garibaldi gli donerà in segno di riconoscenza la sua sciabola. Durante la guerra franco-prussiana (1870-71) partecipa alla “Campagna dei Vosgi”, inquadrato nel corpo sanitario dell’Armata dei volontari di Garibaldi, schierati al fianco dei francesi. Massone, insignito del 33º grado, succedette al conte Aleksander Izenschmid de Milbitz come sovrano gran commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Torino e durante la sua presidenza si realizzò la fusione col Supremo Consigio sedente a Roma. È il fondatore della Società per la Protezione degli Animali, oggi denominata in Ente Nazionale Protezione Animali, che costituì con lo stesso Garibaldi. Dal 1879 si ritirò a vita privata dedicandosi principalmente alle malattie mentali, nello specifico di frenologia. I suoi numerosi scritti e carteggi sono conservati presso il Museo centrale del Risorgimento a Roma. Fotografia CDV. Fotografo: Mazzocca – Torino. Al retro “All’ esimio attore drammatico Borgonzoni – Dott. Riboli”. Fotografia CDV. Fotografo: Mazzocca – Torino.
Arc. 383:Giovanni Pantaleo (Castelvetrano, 5 agosto 1831 – Roma, 3 agosto 1879). Nacque a Castelvetrano il 5 agosto 1831 da Vito e Margherita Amodei, in una famiglia di umili condizioni sociali. Dopo aver studiato con il sacerdote liberale Vito Pappalardo, entrò sedicenne tra i frati minori riformati. Il 9 dicembre 1849 vestì l’abito religioso, prendendo il nome di Giovan Vito di Castelvetrano. Il 3 settembre 1852 emise la professione solenne. Il 23 settembre 1854 fu ordinato sacerdote a Mazara del Vallo dal vescovo del luogo Antonio Salomone. Studiò filosofia nel convento di Salemi e teologia a Trapani e Palermo, dove ebbe come maestri Giuseppe d’Acquaviva e Benedetto d’Acquisto. Insegnò per qualche tempo nel Seminario Arcivescovile di Palermo e nello Studio francescano di Girgenti (Agrigento). Contemporaneamente assumeva incarichi per la predicazione popolare. Nel 1859 dopo aver aderito ai moti antiborbonici di Palermo, organizzati da Ottavio Lanza di Trabìa perse l’insegnamento di filosofia morale nel seminario palermitano. Venne, quindi, destinato a Naro, presso la Chiesa di Santa Maria di Gesù, divenendo predicatore. Nel corso del 1859, quando l’opinione pubblica siciliana venne scossa dalle notizie delle vittorie franco-sarde della seconda guerra di indipendenza, egli ebbe un ruolo nella clandestina organizzazione di una sommossa siciliana contro i Borbone di Ferdinando II. Appresa la notizia dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, il 13 maggio 1860 lasciò senza preavviso o autorizzazioni il convento di Salemi, dove era impegnato per un ciclo di predicazione, e raggiunse le camicie rosse. Incontrò Garibaldi nel palazzo Torralta di Salemi, introdotto dall’ufficiale toscano Giuseppe Bandi, che poi ne diede testimonianza nel suo volume I Mille da Genova a Capua (1886). Seguì Garibaldi, per tutta la spedizione dei mille. Nelle settimane successive egli ebbe un ruolo non secondario nella generale mobilitazione popolare che accompagnò, in Sicilia, la spedizione: «giovò mirabilmente alle cose nostre… e non ebbe l’eguale nel sollevare i popoli e nello innamorarli alla crociata contro la tirannia», «vuole spandere un’aura di religiosità sopra di noi». Precedette le camicie rosse a Napoli, insieme ad Alessandro Dumas. Prese alloggio, con la madre vedova e la sorella Filippa, più giovane di lui di quattro anni, nel palazzo Bagnara al largo del Mercatello, a poca distanza dall’alloggio del Generale, che si sarebbe acquartierato nel palazzo d’Angri al largo Spirito Santo (oggi via VII Settembre). Nella capitale coordinò tutti gli ecclesiastici liberali che si erano uniti ai garibaldini, provocando la protesta dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Sisto Riario Sforza, che, per tal motivo, fu fatto mandare in esilio (la stessa sorte toccò all’arcivescovo di Benevento, il cardinale Domenico Carafa, all’indomani della predicazione di Fra Pantaleo nel duomo sannita). Fu cappellano della spedizione dei Mille, ma rifiutò il titolo di vicario del Cappellano maggiore per la Sicilia, che Garibaldi intendeva offrirgli il 5 novembre 1860. Accettò il titolo di abate della SS.ma Trinità di Castiglione, che gli dava una rendita annua di circa 350 lire (3 gennaio 1861). Per la partecipazione all’impresa dei Mille, con Regio Decreto del 12 giugno 1861, Vittorio Emanuele II gli concesse la Croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma con Regio Decreto del 23 febbraio 1862 fu dispensato dall’ufficio di cappellano dell’esercito meridionale, né poté essere regolarizzato come cappellano dell’esercito regolare perché sospeso a divinis dall’autorità ecclesiastica. Rimasto legato al generale Garibaldi, si attivò a sostenere i moti politici per la liberazione di Roma e Venezia. Girò per molte città dell’Italia settentrionale a sostegno dei Comitati di provvedimento a sostegno della politica liberale e anti-asburgica. Raggiunse Garibaldi in Sicilia, ove questi organizzava la spedizione d’Aspromonte del 1862, ma non partecipò direttamente agli eventi militari. Quando Garibaldi rimase ferito egli, che da Messina aveva raggiunto Napoli travestito, fu qui arrestato e trattenuto per diciotto giorni nel Castel dell’Ovo. Appena amnistiato, raggiunse Garibaldi, ancora prigioniero nella fortezza di Varignano, presso La Spezia: lo assistette durante l’operazione per estrarre la pallottola alla gamba e, poi, lo accompagnò a Pisa e a Caprera. Negli anni successivi si dedicò esclusivamente a questioni religiose, elaborando un progetto di rinnovamento della Chiesa cattolica per la creazione di una Chiesa nazionale o di popolo. Per le idee che egli diffondeva sulla stampa periodica, dovette affrontare un giudizio presso il tribunale di Torino per «attacco alla religione cattolica» (10 dicembre 1864). Decise pertanto di rinunziare allo stato ecclesiastico. Nel 1866, in tempo per partecipare alla campagna di Garibaldi nel Trentino, nel quadro della terza guerra di indipendenza. Cominciò con il grado di sergente, inquadrato nel 2º Reggimento del Corpo Volontari Italiani, si distinse nella battaglia di Ponte Caffaro del 25 giugno e nella difesa del Monte Nota del 18 luglio conseguente alla battaglia di Pieve di Ledro. Al termine del conflitto venne promosso sottotenente, ricevendo l’encomio personale di Garibaldi. Nei mesi successivi tentò di ottenere un incarico dal ministro della pubblica istruzione Domenico Berti. Un tentativo infruttuoso, cui rimediò subito, seguendo Garibaldi nell’organizzazione della sfortunata impresa del 1867, che portò alla sconfitta di Mentana. Combatté come ufficiale di ordinanza a Monterotondo, poi a Mentana come aiutante di campo di Menotti. Dopo Mentana, Pantaleo si dedicò attivamente alla militanza democratica e anticlericale. Si legò alla massoneria e guardò con interesse sia agli ambienti del protestantesimo italiano sia al socialismo europeo. Nel 1869 partecipò all’Anticoncilio di Giuseppe Ricciardi in rappresentanza di quattordici associazioni o logge massoniche: vi sostenne l’ideale della «libertà di coscienza» contro la formula più diffusa di «libertà religiosa». L’anno seguente dovette riparare all’estero per sfuggire le conseguenze dei moti di piazza di Milano, in cui rimase coinvolto, ma in Germani fu arrestato come spia francese. Liberato, raggiunse l’anziano Garibaldi in Francia dopo la sconfitta di Sedan e partecipò alla battaglia di Digione (23 gennaio 1871) con il grado di capitano dell’Armata dei Vosgi. Il 22 giugno 1872, sposò a Lione, nella Francia ormai repubblicana, Camilla Vahè, suscitando un grande scandalo, fra amici e, tanto più, avversari politici. Dopodiché si trasferì a Napoli e, di lì, nel 1876, a Roma, ormai liberata dopo la breccia di Porta Pia. Tra molti stenti, senza riuscire a trovare dignitosa sistemazione lavorativa nella vita civile, visse con la madre, la sorella e la nuova famiglia. Giovanni Pantaleo morì in grandi ristrettezze a Roma il 3 agosto 1879, a soli 47 anni, e venne sepolto al Cimitero del Verano. Nel 1899 la sua tomba fu contrassegnata da un cippo monumentale in pietra scura. Dopo la morte di Pantaleo, i familiari vennero soccorsi da uno speciale comitato di solidarietà, voluto dal generale Giuseppe Avezzana. Il Ministero delle finanze assegnò ai figli una rivendita di sali e tabacchi a Portomaggiore (Ferrara) e alla vedova una ricevitoria del lotto, prima a Messina e poi a Chieti. La madre e la sorella poterono beneficiare di una pensione ricavata dalle antiche rendite abbaziali di cui godeva Pantaleo. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860 ca.
Arc. 1084: Lombardi Agostino in gran montura da Maggiore di Stato Maggiore (Brescia 16 agosto 1829 – Condino 16 Luglio 1866). Nel febbraio 1848, ancora studente, fu arrestato dalla polizia austriaca come uno dei promotori delle dimostrazioni politiche che avevano luogo in città. Scarcerato dopo pochi giorni, si diresse verso il Trentino con i corpi franchi lombardi, nei quali si era arruolato alla fine del marzo 1848. L’11 aprile combatté a Castelnuovo, dove rimase leggermente ferito, ma guadagnando la citazione nell’ordine del giorno e la menzione onorevole. Richiamati dal Tirolo i corpi franchi, poco graditi agli alti gradi dell’Esercito sardo, il Lombardi passò con il grado di sergente nel 1° reggimento cacciatori bresciani, con il quale combatté ancora in Trentino. Nell’ottobre 1848 entrò a far parte del battaglione dei bersaglieri lombardi che, al comando di L. Manara, era stato inquadrato nell’Esercito sardo. Dopo la definitiva sconfitta dell’Esercito piemontese, rimase con i bersaglieri di Manara, nel frattempo accorsi in difesa della Repubblica Romana, e prese parte agli scontri di Palestrina, Velletri e Frosinone (maggio 1849). Ferito e fatto prigioniero dai Francesi presso villa Corsini nella sanguinosa giornata del 3 giugno 1849, fu tradotto a Civitavecchia e poté lasciare gli Stati romani solamente alcuni mesi più tardi, dopo una rocambolesca fuga dal carcere. Rifugiatosi in Piemonte, ebbe la direzione di una casa commerciale operante in alcuni piccoli comuni del lago Maggiore. Lavorando in una zona di confine, ebbe probabilmente contatti con gli organizzatori del moto del 6 febbraio 1853, in seguito al quale la polizia piemontese lo inviò a Vercelli in domicilio coatto. Impossibilitato a prendere parte alla guerra di Crimea (1855) nel corpo di spedizione piemontese, si arruolò come volontario nella Legione anglo-italiana, la quale, al momento della cessazione delle ostilità in Crimea, era ancora di stanza a Malta. Concepì allora il proposito di utilizzare gli uomini della Legione per un tentativo rivoluzionario in Sicilia, ma, tradito dalla gran parte dei suoi compagni, dovette rassegnarsi all’idea di tornare nel Regno di Sardegna. Stabilitosi a Cagliari, si impiegò in una casa di commercio. Nel marzo 1859, in vista del conflitto con l’Austria, abbandonò la Sardegna per arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi, dove fu inquadrato, in qualità di sottotenente, nel 2° reggimento (comandato da G. Medici). Distintosi negli scontri di Varese, San Fermo e Rezzate (maggio-giugno 1859), raggiunse il grado di luogotenente, con il quale, dopo l’armistizio di Villafranca, passò nell’Esercito regolare, nel 4° reggimento della brigata Reggio (formatosi a Modena). Nel 1860, seguendo l’esempio del proprio colonnello G. Sacchi e di numerosi altri ufficiali del reggimento, rassegnò le dimissioni per aggregarsi alla spedizione Medici (una sorta di seconda ondata dei Mille), nella quale ebbe il comando della 6ª compagnia, formata essenzialmente da studenti milanesi. Raggiunta la Sicilia il 17 giugno, combatté valorosamente a Milazzo (20 luglio), dove guidò una carica contro la cavalleria borbonica, e al Volturno (1° ottobre), guadagnando il grado di maggiore e la nomina a cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. Conclusa la campagna nell’Italia meridionale, rientrò nell’Esercito regolare, dove prestò servizio fino al maggio 1862, quando rassegnò le dimissioni in segno di protesta dopo i luttuosi incidenti accaduti nella sua Brescia in seguito all’arresto del patriota Francesco Nullo. In vista dell’azione contro lo Stato pontificio, l’8 agosto 1862 G. Garibaldi inserì il Lombardi fra gli addetti allo stato maggiore, alle dirette dipendenze di C. Corte che lo inviò, insieme con G. Nicotera, nelle zone di Catanzaro e Crotone per preparare il terreno alla spedizione garibaldina, ma il lavoro del Lombardi fu vanificato dall’esito della giornata di Aspromonte (29 ag. 1862). Si ritirò allora a Cariggio, presso Lecco, dove assunse la direzione di una fabbrica di armi. Nel giugno 1866, in vista della guerra contro l’Austria, fu nominato maggiore nel 6° reggimento volontari (alle dipendenze del colonnello Nicotera) ed ebbe il comando di un battaglione. Poco convinto delle qualità di Nicotera, chiese invano d’essere assegnato ad altro comando e si risolse infine a organizzare gli arruolamenti a Bari. Trasferito dapprima in Lombardia, poi nel Trentino, la sera del 15 luglio 1866 il 6° reggimento si posizionò nella valle solcata dal fiume Chiese, presso la località di Condino (sulla strada per Trento): nello scontro del giorno dopo lo schieramento troppo allungato dei volontari consentì, però, agli Austriaci una manovra di accerchiamento, che il Lombardi tentò di rompere con un difficile contrattacco. Appena guadato il Chiese sul ponte di Cimego, fu colpito a morte, ma la sua coraggiosa iniziativa consentì al grosso dei volontari di ripiegare ordinatamente e di attendere i rinforzi dalle vicine località di Storo e Darzo. Nell’ordine del giorno, Garibaldi commemorò la morte del Lombardi, “nobile esempio e pegno di vendetta nelle future battaglie”. Con r.d. del 6 dic. 1866 gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, “per essersi spinto sul ponte di Cimego alla testa di una compagnia ed avere caricato alla baionetta il nemico che avanzava”. Il fratello Carlo, nato anche lui a Brescia nel 1834, s’era rifugiato in Piemonte nel 1852. Fu successivamente deportato in America perché sospettato d’essere coinvolto nel moto milanese del 6 febbraio 1853. Tornato in Italia nel 1859 per partecipare alla guerra contro l’Austria, seguì Garibaldi in Sicilia nel 1860 (ottenne la nomina a capitano dopo la battaglia del Volturno) e ad Aspromonte due anni più tardi. Tornato negli Stati Uniti per combattere nelle file dell’Unione, cadde a Fort Fisher (North Carolina) il 27 febbraio 1865. Fotografia CDV. Fotografo: A. Tettamanzi – Milano.
Onorificenze
Medaglia d’Oro al Valor Militare
“per essersi spinto sul ponte di Cimego alla testa di una compagnia ed avere caricato alla baionetta il nemico che avanzava”
Menzione Onorevole
Castelnuovo 11 aprile 1848
Arc. 1895: Filippo Migliavacca in piccola montura da Capitano dei Cacciatori delle Alpi (Affori, 13 settembre 1829 – Merì, 20 luglio 1860). Nacque ad Affori (oggi quartiere di Milano), ma compì tutti gli studi a Pavia, prima al Collegio Ghisleri e poi si laureò in Legge all’Università. Nel marzo 1848, durante gli studi liceali, tornò a Milano per partecipare alle Cinque giornate. In seguito si iscritte alla Legione degli Studenti per partecipare, negli anni seguenti, a diverse campagne di liberazione, divenendo prima Sergente e poi Luogotenente e stringendo amicizia con Giuseppe Garibaldi. Finiti gli studi entrò a far parte dello studio dell’avvocato Giulio Cesare Gabella di Genova. Nel 1859 si arruolo nei Cacciatori delle Alpi combattendo gli austriaci in diverse battaglie guadagnandosi il grado di Capitano. Tornato a Milano esercitò l’avvocatura. Il 5 maggio, dopo aver raggruppato una settantina di volontari, partì alla volta di Genova per raggiungere Garibaldi, insieme a lui c’erano tra gli altri: Romeo Bozzetti, Ippolito Nievo, Enrico Eugenio Richiedei ed il veneziano Enrico Uziel che però si imbarcarono con Garibaldi. Il 10 giugno 1860 Migliavacca si imbarcò sulla nave Washington insieme a dei volontari per unirsi all’impresa dei Mille di Garibaldi in Sicilia. Giunto a Palermo fu promosso Maggiore al comando di un Battaglione della Colonna Simonetta. Morì in combattimento a Milazzo il 20 luglio 1860. In seguito gli vennero tributati il grado di tenente colonnello e la medaglia al valor militare. Nell’elenco ufficiale dei partecipanti all’impresa, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 12 novembre 1878, non è accreditato in quanto si unì solo a Palermo con Garibaldi. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia
Campagna Italia Meridionale
Arc. 2567: Stato Maggiore: Maggiore in piccola montura. Fotografia CDV Fotografo: F.lli Bernieri – Torino.
Arc. 1795: Stato Maggiore: Capitano in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli.
Arc. 2366: Stato Maggiore: Capitano dell’Esercito Meridionale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli. 1860.
Arc. 2979: Stato Maggiore: Moneta Enrico in piccola montura da Sottotenente. Figlio di Carlo e Muzio Giuseppa nacque a Milano il 23 giugno 1843. Nel 1859 partecipò alla campagna contro l’Austria come volontario nei Cacciatori delle Alpi e poi si arruolò con il grado di Sottotenente nel 20° Reggimento Fanteria dell’Esercito Sardo. Nel 1860 partì con Garibaldi da Quarto e fu inquadrato come Sottotenente di Stato Maggiore dell’Esercito Meridionale. Al suo fianco Polli Luigi. Figlio di Giacomo e Pittoretti Maria nacque a Milano e nel 1860 partì con la spedizione dei Mille da Quarto. Venne arruolato come Cacciatore nel 1° Reggimento Penzo della 3^ Brigata Eberhardt della 17^ Divisione Medici. Fu congedato alla fine della campagna l’11 dicembre 1860. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 2977: Esercito Meridionale: Prignacchi Luigi in piccola montura. Figlio di Vincenzo e Bellini Margherita nacque a Fiesso (BS) il 20 maggio 1840. Nel 1859 partecipò alla campagna contro l’Austria e nel 1860, studente a Pavia, partì da Quarto con Garibaldi. Arruolato nelle Guide di Garibaldi, nella battaglia di Palermo fu ferito alla testa e ottenne una decorazione. Al termine della campagna entrò a far parte del Regio Esercito Italiano con il grado di Sottotenente ma nel 1862 a Ivrea disertò. A quel punto le informazioni diventano vaghe. Sembra che sia fuggito con una ragazza in Francia, a Montpellier. G.C. Abba dette una versione più romantica: “ Luigi Prignacchi volle vagar lontano; e solo, quasi consunto, cominciò il ritorno finché finì a Montpellier”. Non è conosciuta la data di morte che comunque sembra sia avvenuta proprio a Montpellier. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 3072: Comi Cesare in grande uniforme da Capitano del 57° Reggimento Fanteria mod. 29 giugno 1879 – 16 maggio 1895 (Trescore Balneario, 11 marzo 1844 – Trescore Balneario, 24 aprile 1900). Figlio di Giovanni (medico di sentimenti patriottici) e di Teresa Mangili, nel 1860 era uno studente del Liceo di Bergamo in classe 7ª, o per meglio dire (in virtù della legge Casati dell’ottobre del 1859) in 2ª liceo. Partì a sedici anni per Genova insieme a molti suoi compagni di classe e di scuola per partecipare alla Spedizione dei Mille. Fu arruolato alla 8^ “Compagnia di ferro” di A. Bassini. Si distinse nella battaglia di Calatafimi e nelle giornate di Palermo, il 24 luglio fu assegnato Caporale al 1° Reggimento della 2^ Brigata Eber della 15^ Divisione Türr nel quale ebbe presto il grado di Sergente. Distintosi nuovamente e in vari scontri della restante campagna fu promosso Sottotenente il 29 ottobre e gli fu decretata la Menzione Onorevole al Valor Militare (R. D. 30 settembre 1862). Passò nel Corpo dei Volontari e il 18 maggio 1861 fu comandato al deposito dei Sottotenenti in Ivrea, dal quale, nel marzo 1862, passò al 30° Reggimento Fanteria. Nel 1866 partecipò alla III Guerra d’Indipendenza col reggimento di cui faceva parte. Il padre e il fratello erano a Bezzecca con Garibaldi. Appena compiutasi con Roma capitale l’unità d’Italia, ebbe la promozione a Tenente (25 settembre 1870) e quella a Capitano nel 57° Reggimento Fanteria il 30 ottobre 1880. Dopo aver servito onorevolmente e per ben trentaquattro anni nel Regio Esercito passò alla Riserva col grado di Maggiore il 21 novembre 1894. Ebbe le decorazioni commemorative, una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, la pensione dei Mille e il Cavalierato dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia. Rientrato in famiglia, sposò Lucia Fertili, ma ebbe presto la disgrazia di perdere l’ottimo suo padre ottantaduenne (22 ottobre 1895), divenuto cieco fin dal 1890, che imitò anche nel servire volonterosamente la pubblica amministrazione. Fu infatti Presidente dell’Asilo infantile, delle Scuole comunali, delle Carceri, del Tiro a Segno, Assessore anziano, Membro del Consiglio Ospitaliere, acquistandosi sempre l’affetto degli inferiori e la stima dei superiori. Fedelissimo a Garibaldi , che lo onorava di speciale amicizia e insieme al quale figura in un insigne quadro conservato nel Municipio di Trescore, si meritò encomi speciali dal Ministro Depretis per la sua opera di alto civismo. Fotografia formato 20,8 x 12. Fotografo: G. Sartore – Bergamo.
Onorificenze
Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia
Menzione Onorevole
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
Arc. 2988: Esercito Meridionale: Candiani Carlo Antonio. Figlio di Giovanni Battista e Brunetti Angela, nacque a Milano il 23 luglio 1828. Partito con i Mille di Garibaldi da Quarto venne arruolato nelle Guide di Garibaldi. Fece tutta la campagna ricevendo una Medaglia d’Argento al Valor Militare e la promozione a Sottotenente nel Reggimento Guide. Partecipò a tutte le guerre per l’indipendenza italiana. Fotografia CDV. Fotografo: G. Rossi – Milano.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al Valor Militare
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
4 Barrette
Arc. 753: Esercito Meridionale:Marziano Ciotti (Gradisca d’Isonzo, 13 agosto 1839 – Udine, 19 settembre 1887). Nacque il 13 agosto 1839 a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) da Amalia Mazzoldi e Valentino, medico condotto. Dopo gli studi superiori si iscrisse alla Facoltà di Legge dell’Università di Padova, centro di ideali mazziniani e patriottici, diventando amico di Ippolito Nievo. Emigrò nel 1859 per partecipare alla seconda guerra d’indipendenza con i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Partecipò alla spedizione dei Mille inquadrato nella VII compagnia, comandata da Benedetto Cairoli, prima come soldato semplice, poi caporale. Dopo l’entrata a Palermo venne nominato sottotenente; e poi tenente al Volturno, dove ricevette la prima delle sue nove medaglie al valor militare.Tra il 1861 e il 1862 Marziano Ciotti collaborò con Garibaldi alle varie iniziative. Fu brevemente arrestato, partecipò all’azione in Aspromonte, nuovamente arrestato, amnistiato, rientrato illegalmente in Friuli per partecipare ai moti falliti del 1864. Nel 1866 partecipò alla terza guerra d’indipendenza, nel 9° reggimento agli ordini di Menotti Garibaldi. Nel 1867 fu ancora con Garibaldi, comandante di un battaglione col grado di maggiore, nel tentativo della presa di Roma. Si distinse a Monterotondo e poi per la strenua difesa a Mentana. Arrestato dopo il fallimento della campagna, venne inviato al confino a Comacchio, dove si sposò nel 1868. Partecipò anche alla campagna dei Vosgi (1870-1871), dove venne nominato tenente colonnello e fu insignito della Legion d’onore, meritandosi il soprannome di “l’occhio dritto di Garibaldi” e venendo ricordato da Garibaldi stesso nelle sue memorie come uno tra i volontari più valorosi. Dopo la campagna di Francia, Marziano Ciotti si stabilì Montereale Cellina con la moglie dalla quale ebbe 5 figli. Senza lavoro, con una famiglia numerosa, deluso dagli esiti dell’unità nazionale, oppresso dalle angustie materiali, influenzato dal suicidio dell’amico Giovanni Battista Cella, nella notte tra il 7 e l’8 luglio 1887, nei pressi di Udine, dopo essersi sparato con la pistola, si lasciò cadere nel canale Ledra. Aveva raccomandato agli amici patrioti l’educazione dei propri figli in una lettera che gli venne trovata addosso. Marziano Ciotti è sepolto nel cimitero monumentale di Udine tra i benemeriti della città. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto.
Arc. 1433: Corpo Volontari Italiani: Maggiore in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Le Lieure – Torno. Campagna del 1866.
Arc. 2840: Esercito Meridionale: Arnold Augusto in gran montura da Capitano con mantella. Partito con i Mille da Quarto fece tutta la campagna raggiungendo il grado di Capitano nella 15^ Brigata Eber. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860
Arc. 2403: Corpo Volontari Italiani: Brufel Giovanni in gran montura da Capitano del 10° Reggimento. Fotografia: CDV. Fotografo: Colombo – Bergamo. Campagna del 1866. Firmata e datata 14 giugno 1866.
Arc. 2871: Corpo Volontari Italiani:Pape Paolo in piccola montura da Capitano. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano. Campagna del 1866.
Arc. 2568: Corpo Volontari Italiani: Capitano in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Deroche & Heyland – Milano. Campagna del 1866.
Arc. 2046: Esercito Meridionale: Capitano in montura di via. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli. 1860.
Arc. 2046: Esercito Meridionale: Tenente in montura di via. Fotografia CDV. Fotografo: A. Bernoud – Napoli. 1860.
Arc. 2968: Esercito Meridionale: Tenente in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Alinari – Firenze. 1860.
Arc. 2969: Esercito Meridionale: Sottotenente in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860.
Arc. 2968: Esercito Meridionale: Ufficiale in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. Datata 1859.
Arc. 2879: Corpo Volontari Italiani: Capitano in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. Campagna del 1866.
Arc. 2283: Corpo Volontari Italiani: Bertolini Luigi in piccola montura da Tenente del 9° Reggimento. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. Campagna del 1866.
Arc. 2967: Corpo Volontari Italiani: Sottotenente in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: E. Maza – Milano. 1866.
Arc. 2967: Corpo Volontari Italiani: Gemma Vittorio in montura di via da Sottotenente. Fotografia CDV. Fotografo: Marzocchini – Livorno. 1866
Arc. 2566: Esercito Meridionale: S. Brighi Zorli in piccola montura da Sottotenente. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. 1860.
Arc. 2044: Esercito Meridionale: Sottotenente in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli. 1860.
Arc. 2965: Esercito Meridionale: Pedrali Carlo in piccola montura da Sottotenente del 1° Reggimento della Brigata Simonetta. Figlio di Giuseppe e Camperi Enrichetta nacque a Chiari (BS) il 21 aprile 1840. Volontario nel 9° Reggimento Fanteria il 24 marzo 1859, fece la campagna contro l’Austria meritandosi la Medaglia francese della Campagna d’Italia e venne congedato dall’esercito sardo il 21 novembre 1859. Nel 1860 partì volontario per unirsi all’Esercito Meridionale e venne arruolato con il grado di Sergente nel Battaglione del Genio il 28 giugno. In agosto venne trasferito con lo stesso grado nel 1° Reggimento della Brigata Simonetta e il 1° ottobre venne promosso Sottotenente. Il 12 giugno 1861 passò con lo stesso grado nel Corpo Volontari Italiani e l’8 settembre fu collocato in aspettativa per riduzione di Corpo. Il 27 marzo 1862 venne accettato nell’esercito regolare e collocato in aspettativa per riduzione di corpo il 16 aprile 1862. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli. 1860.
Arc. 2122: Corpo Volontari Italiani: Bandini Vincenzo in piccola montura da Sottotenente del 10° Reggimento (San Secondo 1836 – …). Fratello del medico Raffaele anche lui garibaldino, si laureò in legge e a guerra conclusa si specializzò e divenne notaio di San Secondo. Il Bandini fece parte del gruppo che partì dalla stazione di Parma con l’Abba il mattino del 4 maggio 1860: è lecito pensare che egli sia stato compreso nel gruppo dei ventisette Parmigiani della colonna Zambianchi, forse proprio a sua richiesta, per seguire la sorte del fratello e condividere con lui l’onore di far parte dell’avanguardia garibaldina. Avvalora questa supposizione il fatto che di lui si hanno sicure e lusinghiere notizie soltanto durante il periodo delle operazioni svoltesi in Campania, col 3° Reggimento Volontari della 18^ Divisione di Nino Bixio. Per il suo valoroso comportamento durante la battaglia del Volturno venne, da semplice camicia rossa, nominato ufficiale, come si rileva dal Decreto n. 1120 del Ministero della Guerra: “Per Decreto del Generale Dittatore dell’Italia Meridionale della data degli otto andante mese ella è nominata Luogotenente di Fanteria nella 2^ Brigata 18^ Divisione per essersi distinto nel fatto d’armi di Villa Guabrieri il primo corrente. E io glielo comunico per sua opportuna norma. Napoli, 12 ottobre 1860. Il Ministro: Cosenz”. Che fosse stata veramente commendevole la condotta del Bandini in quella gloriosa giornata, ne dà conferma quest’altro documento ministeriale: “Per determinazione di S.M. il Re in data 12 giugno 1861, il Luogotenente del corpo Volontari dell’Italia Meridionale Bandini Vincenzo per essersi distinto nel combattimento del 1° ottobre 1860 è stato dichiarato meritevole di Menzione Onorevole”. Nel 1864 fu segnalato al Ministero dell’Interno quale fervente repubblicano. Nel 1866 egli rivestì ancora la camicia rossa dei garibaldini: con disposizione emanata a Firenze il 31 maggio, il ministro Di Pettinengo, a norma dell’articolo 5 del Reale Decreto del giorno 6 di quel mese, relativo alla formazione dei Corpi Volontari Italiani, accolse la domanda di arruolamento presentata dal Bandini e lo nominò al grado di Luogotenente nel 10° Reggimento Volontari Italiani colle competenze dovute al suo grado a far tempo dal giorno della sua presentazione al Corpo. Anche in questa guerra egli si comportò lodevolmente ed ebbe la piena fiducia dei superiori, i quali vollero dargli, a riconoscimento dei suoi meriti, un compito di grande responsabilità. Ciò risulta ufficialmente dal seguente dispaccio ministeriale diretto il 17 ottobre allo stesso Bandini per sua conoscenza: “Sulla proposta del Comandante del 10° Reggimento Volontari Italiani questo Ministero avendo in data 13 luglio 1866 approvata la nomina del signor Bandini Vincenzo Luogotenente alla carica di Aiutante Maggiore in 2^ nel detto Reggimento, ne rilascia la presente dichiarazione al predetto Uffiziale come titolo di sua nomina”. Fotografia formato gabinetto. Fotografo: F. Scattola – Venezia.
Onorificenze
Menzione Onorevole
Combattimento del 1° ottobre 1860
Arc. 541: Esercito Meridionale: Sottotenente in montura di via. Fotografia CDV. Fotografo: Grillet – Napoli. 1860.
Arc. 2981: Esercito Meridionale: Sottotenente dei Reparti Volanti in piccola montura. Fotografia CDV. Fotografo: Sconosciuto. Campagna del 1860.
Arc. 757: Fanteria: Baratieri Oreste in gran montura da Capitano di Fanteria mod. 22/03/1860 – 02/04/1871(Condino, 13 novembre 1841 – Sterzing (alto Adige), 8 aprile 1901). Nato nella Contea del Tirolo con il cognome di Baratter, decise di italianizzarlo prima in Barattieri e poi in Baratieri. Nel 1859 si trasferì a Milano e l’anno successivo si unì ai Mille di Giuseppe Garibaldi, partecipando con successo alla presa di Capua. Per le imprese garibaldine ottenne il grado di capitano e una Medaglia d’Argento al Valor Militare. Rimase affiliato alle “camicie rosse” per 6 anni, dal 1860 al 1866. Prese parte con il grado di Capitano di Fanteria alla campagna del 1866 meritandosi una Menzione Onorevole alla battaglia di Custoza. Prese parte alla sfortunata battaglia di Mentana del 1867 contro l’esercito francese e nel 1872 si arruolò nel Regio Esercito. Nel 1874 partecipò alla spedizione geografica Antinori in Tunisia, per conto della Società Geografica Italiana. Fu nominato colonnello a Cremona nel 1886 e gli venne assegnato il comando del 4° Reggimento Bersaglieri.. Partecipò, come colonnello, alle campagne militari in Eritrea del 1887-88 e nuovamente nel 1890 e nel 1891 come comandante in seconda. Eletto deputato per la Destra storica a Breno, in provincia di Brescia, Baratieri ebbe confermato il suo seggio per sette legislature, dalla XIII alla XIX (1876-1895). Nel 1891 fu comandante in capo in Africa. Il 28 febbraio 1892 fu designato dal re Umberto governatore della colonia Eritrea e comandante in capo del Regio Corpo Truppe Coloniali d’Africa, con il grado di maggior generale e poi di generale comandante. Ordinatogli dal governo di invadere l’Etiopia, iniziò ad annettere Cassala (Sudan) il 17 luglio 1894, nel 1895 combatté contro i ras Maconnen e Mangascià, sconfisse il Ras Mangascià nella battaglia di Coatit il 13 gennaio 1895 e in quella di Senafè, preparò l’occupazione del Tigrè e occupò Adigrat (in marzo), Aksum e Adua. A seguito dell’eccidio di un reparto italo-eritreo di 1 880 uomini, compiuto sull’Amba Alagi il 3 dicembre 1895, presentò le dimissioni, ma fu costretto dal primo ministro Francesco Crispi, che non intendeva rinunciare alla sua politica colonialista, a passare all’offensiva contro gli africani, nonostante essi fossero in netta superiorità numerica e logistica, a differenza di quanto ritenesse Crispi. In procinto di essere esonerato dal comando e venir sostituito dal generale Antonio Baldissera, Baratieri decise di cercare una battaglia risolutiva contro Menelik. L’attacco, condotto malamente, fidando su mediocri carte militari, portò rapidamente alla separazione delle varie colonne italiane, che furono quindi sorprese e distrutte, dopo una valorosa resistenza, una dopo l’altra durante la sanguinosa battaglia di Adua del 1º marzo 1896, una delle disfatte più pesanti e tragiche della storia d’Italia. Baratieri diede prova, nella circostanza, di mediocri qualità militari e perse rapidamente il controllo della situazione, senza riuscire a evitare la catastrofe e scampando a sua volta a stento alla morte o alla cattura. Accusato di abbandono di comando, per aver preceduto le truppe nella ritirata dopo Adua, fu ritenuto responsabile dalle autorità di Roma delle tre sconfitte italiane dell’Amba Alagi, di Macallè e Adua: arrestato il 21 marzo 1897, fu quindi sottoposto ad un umiliante processo ad Asmara; il generale sarebbe poi stato prosciolto da ogni accusa per non compromettere l’onore delle forze armate, ma fu collocato a riposo e abbandonò la carriera militare. Negli ultimi tempi della sua vita soggiornò ad Arco e a Venezia; qui scrisse, come estrema autodifesa, le Memorie d’Africa, nel tentativo di proclamarsi vittima del destino. In particolare, mostrando un visibile cambiamento d’opinione rispetto a quando era un capo militare nella Colonia Eritrea, nelle sue memorie tracciò un’analisi precisa del colonialismo italiano e dei metodi degli europei per sottomettere l’Africa, definiti disumani e distruttivi. Secondo l’ex generale, il destino degli africani era analogo a quello dei nativi d’America sterminati dagli europei. Diresse, per diversi anni, la “Rivista militare italiana”. Morì improvvisamente a Vipiteno, allora nel Tirolo austro-ungarico, dove si era recato a visitare i parenti. Lasciò notevoli opere militari. La maggior parte dell’archivio di Oreste Baratieri si trova presso l’Archivio di Stato di Venezia, tranne una parte conservata presso il Museo Storico in Trento. Fotografia CDV. Fotografo: Generini – Piacenza.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Commendatore dell’Ordine militare di Savoia
27 novembre 1894
Medaglia d’Argento al Valor Militare
«Per i combattimenti presso Capua»
Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia
Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia
Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia
Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia
Medaglia commemorativa delle Campagne d’Africa
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d’Indipendenza
Medaglia commemorativa dell’Unità d’Italia
Onorificenze straniere
Commendatore dell’Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia)
Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore (Francia)
Arc. 914: Corpo Volontari Italiani: Tavella Luigi (Brescia 27 novembre 1843 – Bagnolo 12 luglio 1893). Studente a Brescia, poco più che sedicenne partì da Quarto il 6/5/1860 con Garibaldi, si guadagnò i gradi di sottotenente sul campo, nelle battaglie del Meridione. Tornò con Garibaldi in Aspromonte, 1862, e nel 1866 fu nel 4° Reggimento Volontari alla III guerra d’Indipendenza, dove fu fatto prigioniero dagli Austriaci a Bezzecca. Dopo la prigionia, si guadagnò il titolo di Cavaliere e s’impiegò all’Ospedale Civile di Brescia, poi divenne amministratore della Banca Popolare Bresciana, membro del Comizio Agrario Bresciano per lo sviluppo agricolo, (aveva un fondo agricolo a Bagnolo, all’avanguardia), componente della Commissione Amministrativa dell’Istituto-Convitto Agrario Chiodi di Bagnolo e poi sindaco (1891-1893), quando morì. Il prof. Giuseppe Cesare Abba, suo commilitone, gli scrisse il seguente epitaffio: Cav. Luigi Tavella – uno dei mille – alla risorgente patria la giovinezza – i forti anni al lavoro – cittadino soldato agricoltore – giusto colto amato – morì sindaco di Bagnolo – tra molto pianto – il 12 luglio 1893. Fotografia CDV. Fotografo: A. Bernoud – Napoli.
Arc. 1414: Framarin(i) Ottavio Pasquale in montura festiva da Maggiore del 62° Reggimento Fanteria Brigata Sicilia mod. 22/03/1860 – 02/04/1871 (Gambellara 26 ottobre 1825 – Vicenza 05 maggio 1902). Soldato nel 61° Reggimento Fanteria dell’Impero Austriaco nel 1846, si arruolò come Sottotenente nel Battaglione De Galateo di Treviso durante la Repubblica Veneta nel 1848 e prese parte alla difesa di Vicenza e Venezia (1848 – 1849). Dal 1849 al 1852 passò all’Artiglieria Sarda e il 6 agosto 1859 si arruolò nel 3° Reggimento Fanteria dell’Esercito dell’Emilia dove il 1° settembre 1859 venne promosso Capitano. L’anno successivo si unì alla spedizione Medici e raggiunse l’Esercito Meridionale di Garibaldi. Il 21 luglio, alla battaglia di Milazzo fu ferito e ottenne la Medaglia d’Argento al Valor Militare. L’8 ottobre dello stesso anno venne promosso Maggiore. Passato con lo stesso grado nell’esercito regolare il 16 aprile 1862 entrò nel 62° Reggimento Fanteria della Brigata Sicilia. Partecipò alla campagna del 1866 e guadagnò una seconda Medaglia d’Argento a Primolano. Nel 1870 venne promosso Tenente Colonnello e assegnato all’8° Reggimento Fanteria della Brigata Cuneo. Il 24 ottobre 1877 ottenne il grado di Colonnello e gli venne affidato il comando del 1° Reggimento Fanteria della Brigata Re. Il 4 novembre 1882 ebbe il Comando Superiore dei distretti della Divisione Militare di Ancona. Il 13 aprile 1884 venne messo in posizione Ausiliaria e il 12 gennaio 1893 venne promosso Maggior Generale della Riserva. Fotografia CDV. Fotografo: A. Galassi – Modena. Fotografia dedicata a G. Garibaldi e autografata.
Onorificenze
Medaglia d’argento al valor militare
Milazzo 21 luglio 1860
Medaglia d’argento al valor militare
Primolano 1866
Arc. 2631: Cervetto Stefano Maria in gran montura da Sottotenente del 51° Reggimento Fanteria Brigata Alpi (Genova 7 maggio 1839 – 12 dicembre 1887). Figlio di Domenico e Carlotta Segala si arruolò volontario nei Carabinieri Genovesi dei Cacciatori delle Alpi il 17 aprile 1859. Nominato Caporale il 10 giugno, il 15 agosto venne promosso Sergente. Partecipò alla campagna del 1859 guadagnando la medaglia francese e fu congedato il 27 settembre 1859. Nel 1860 si unisce ai Mille e si imbarca a Quarto, sbarca a Marsala l’11 maggio e entra a far parte dei Carabinieri Genovesi con il grado di Sergente il 28 giugno 1860. Il 21 settembre 1860 venne promosso Luogotenente e, per essersi distinto nei combattimenti di Palermo e di Milazzo il 28 – 29 e 30 maggio e il 20 luglio, ottiene la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il 26 gennaio 1862 passò al Regio Esercito Italiano con il grado di Sottotenente e destinato al deposito di Ivrea. Il 19 ottobre 1862 venne trasferito al 51° Reggimento Fanteria e con questo partecipò alla campagna del 1866. Il 19 dicembre 1872 ottenne il grado di Tenente e il 1° dicembre 1881 venne promosso Capitano nel 42° Reggimento Fanteria Brigata Modena. Il 30 maggio 1884 venne posto in posizione Ausiliaria. Fotografia CDV. Fotografo: G.B. Sciutto & C. – Genova.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al valor militare
Palermo 28 – 29 – 30 maggio 1860 Milazzo 20 luglio 1860
Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia
Medaille Commémorative de la Campagne d’Italie de 1859
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Arc. 2510: Esercito Meridionale: Torchiana Pompeo in montura di servizio di piazza feriale da Tenente del Genio (Cremona 3 settembre 1823 – Cremona 2 settembre 1883). Figlio di Massimiliano fu ingegnere e architetto, partecipò alla campagna del 1849 combattendo alla difesa di Bologna contro gli austriaci. Si arruolò nei Cacciatori del Corpo Volontari Italiano il 15 marzo 1859 guadagnando la medaglia francese della Campagna d’Italia; fu congedato il 6 settembre 1859. L’11 maggio 1860 sbarcò con i Mille a Marsala e il 16 giugno venne promosso Luogotenente del Genio garibaldino. Durante la campagna si distinse in più occasioni meritandosi la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il 6 aprile 1860 fu confermato Luogotenente del Genio del Corpo Volontari Italiani e il 27 marzo 1862 entrò con lo stesso grado nel Regio Esercito Italiano. Il 30 giugno 1862 venne promosso Luogotenente di 1^ Classe e il 28 agosto del 1870, su sua domanda, fu dimesso. Il 30 dicembre 1870 fu Tenente del Genio nella Milizia Provinciale nel 44° Distretto Militare. Il 22 giugno 1874 fu confermato Tenente nel 2° Reggimento del Genio e il 13 dicembre dello stesso anno fu collocato nella Riserva con il grado di Capitano. Fotografia CDV. Fotografo: A. Duroni – Milano.
Onorificenze
Medaglia d’Argento al valor militare
1860
Medaille Commémorative de la Campagne d’Italie de 1859
Medaglia commemorativa dei 1000 di Marsala
Arc. 2705: Intendenza Esercito Meridionale: Commissario in montura festiva. Fotografia formato 7,4 x 10,6. Fotografo: J. H. Gairoard – Napoli.
Arc. 3155: Compagnia di sussidio al Servizio Sanitario del Corpo Volontari Italiani: Cellini Bernardo in uniforme da Sottotenente della Compagnia di sussidio al Servizio Sanitario (poi Treno) del Corpo Volontari Italiani. Da notare la granata al berretto e le profilature chiare alla giubba probabilmente azzurre. Fotografia CDV. Fotografo: F.lli Vianelli – Venezia. Autografata come Sottotenente del Treno d’Ambulanza in Tirolo. Campagna del 1866.
Arc. 2980: Esercito Meridionale: GastaldiGiuseppe Giovan Battista (Porto Maurizio 24 maggio 1833 – 1907). Figlio di Domenico nacque a Porto Maurizio, oggi Imperia, il 24 maggio 1833. Nel 1860 era un giovane capitano marittimo con già alle spalle viaggi in tutto il mondo. A Lima ricordò di aver incontrato, ancora giovanissimo, Garibaldi allora già famoso e di avergli chiesto inutilmente di seguirlo nel suo viaggio verso le Filippine. Partecipò alla spedizione dei Mille e fece parte dell’equipaggio scelto per governare il Piemonte. Durante la navigazione si lanciò in mare con i marinai Romolo Mori e Luigi Andreotti per salvare un garibaldino che si era volontariamente gettato in mare. Giunti a Santo Stefano, fu elogiato dal generale Garibaldi nell’ordine del giorno. A Marsala fu tra coloro che organizzarono il rapido sbarco, prima che giungessero le navi napoletane. Fece tutta la campagna. A luglio fu anche organizzatore e comandante del trasporto di nuovi volontari da Genova sui vapori Sidney Hall e Provence. Ebbe le medaglie commemorative e la pensione dei Mille. Dopo l’impresa riprese a viaggiare in tutto il mondo. Infine si ritirò nella città natale in una villetta in via Crosa, impegnandosi in singolari studi agronomici. Scrisse delle memorie, inedite, caratterizzate da una scrittura essenziale e scarna, fuori dalle convenzioni e di valore documentale. Morì nel 1907. “…eseguiti gli ordini, mi portai con le barche sulla spiaggia di Quarto, ove trovai altri volontari e la barcaccia nella quale salii onde aspettare il Generale Garibaldi; circa alle quattro del mattino giunsero i due piroscafi Piemonte e Lombardo…“. Fotografia CDV. Fotografo: F. Balbi – Genova.
Arc. 2123: Cacciatori del Montefeltro: Gommi Flamini conte Enrico in montura di via da comandante dei Cacciatori del Montefeltro. All’arrivo delle truppe piemontesi nelle Marche ( campagna del 1860 ) si formarono spontaneamente dei gruppi di patrioti volontari che vennero inquadrati nei Cacciatori del Montefeltro. A capo di una colonna il Gommi Flamini partecipò alla liberazione di Urbino scacciando reparti pontifici e tenendo la città fino all’arrivo delle truppe del Generale Cialdini. Famoso per la sua particolare tenuta e per il suo cappello alla scozzese il Gommi Flamini si rivelò comandante audace e coraggioso. Fotografia CDV. Fotografo: sconosciuto. 1860.
ARMATA DEI VOSGI 1871
Arc. 2125: Armata dei Vosgi: Sottotenente in montura di via. Fotografia CDV. Fotografo: Cottet – Paris. Guerra Franco – Prussiana 1870 – 71.
Arc. 2986: Armata dei Vosgi: Ufficiale in montura di via con spencer. Fotografia CDV. Fotografo: P. Burgeois – Chalon sur Saône. Guerra franco-prussiana 1870/71.
Arc. 2403: Reparto Liceali Volontari: Sottotenente in piccola montura. Questo reparto era aggregato alla Guardia Nazionale Valtellinese e combatté principalmente in questa valle al comando dei propri insegnanti. Fotografia CDV. Fotografo: Farina – Bolo – Vicenza. Campagna del 1866.
LEGIONE UNGHERESE
Arc. 2399: Legione Ungherese: Colonnello Jhasz Daniel comandante la 1^ Brigata della Legione Ungherese. Fotografia CDV. Fotografo: H. Le Lieure – Torino. 1870 ca.
Arc. 2925: Legione Ungherese: Ufficiale in gran montura. Fotografia CDV. Fotografo: Guidi e Comp. – Firenze.